«Io, l'unico medico ginecologo
a praticare gli aborti in Molise»

«Io, l'unico medico ginecologo a praticare gli aborti in Molise»
di Maria Pirro
Martedì 9 Ottobre 2018, 10:00 - Ultimo agg. 11 Ottobre, 09:59
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Un ginecologo solo pratica aborti nel Molise. Al lavoro nell'ospedale di Campobasso Michele Mariano, 64 anni, si schermisce: «Vorrà dire che andrò all'inferno, e i miei colleghi, obiettori di coscienza, in paradiso».
Come funziona il servizio di interruzione di gravidanza?
«Funziona alla perfezione grazie al sottoscritto, nonostante l'assoluta carenza di medici non obiettori: da solo riesco a esaudire tutte le richieste, 400 all'anno, che arrivano anche dalle regioni limitrofe, dalla Campania - in particolare dal Sannio, dall'Abruzzo e dalla Puglia, credo per motivi di privacy. L'unità operativa che dirigo è completamente autonoma dal reparto al quale non posso accedere ma che ho diretto come facente funzioni per due anni, fino al 2009, quando è stato affidato in convenzione al Gemelli di Roma su decisione della giunta regionale guidata da Michele Di Iorio. Da allora il direttore per concorso non è stato ancora nominato, ma io relegato in una torre di avorio. Non ho infatti più accesso alla sala operatoria per gli altri interventi, ma quanti primari in Italia fanno le interruzioni di gravidanza? È uno stigma professionale».
Perché pratica aborti, allora?
«Credo nella 194: è una ottima legge ma con due pecche. Una è la solitudine del medico nel prendere le decisioni del caso, anziché lavorare in équipe; l'altra, la principale, aver introdotto l'obiezione di coscienza che porterà alla distruzione della stessa legge. In Svezia non è ammessa, e anche in Italia, nelle scuole di specializzazione, andrebbe proibita».
In Italia sette medici su dieci sono obiettori, nel Sud otto e in Molise lei è l'unico a operare.
«Qui in reparto i ginecologi, complessivamente una decina, sono tutti obiettori, eccetto una collega che non pratica comunque aborti. Devo dare atto, però, agli attuali vertici dell'azienda sanitaria regionale del Molise, che hanno trovato questa situazione e anzi cercano di bandire qualche concorso o ottenere qualche trasferimento per dare personale all'unità operativa».
Mancano altri operatori?
«Ho fatto da poco richiesta per ottenere più ostetriche, al momento ne ho una e tre infermiere».
E gli psicologi?
«In consulenza, se servono».
E gli assistenti sociali?
«Ce n'era uno, ma non viene più».
E i mediatori culturali?
«No, troppa filosofia rispetto alla realtà: faccio tutto io, anche la documentazione, dal certificato al resto. Un'altra pecca nell'applicazione della legge è la poca attività nei consultori, tante pazienti vengono direttamente da me».
Quante volte alla settimana pratica gli aborti?
«Due, perché c'è il problema anestesisti, oltre alla mia solitudine. Negli altri giorni, garantisco l'aborto farmacologico e accolgo le pazienti».
Come avviene la prenotazione?
«La privacy è garantita in tutto, per entrare si bussa al citofono e si arriva dal sottoscritto al lavoro tutti i giorni dalle 7,30. Le richieste avvengono dal lunedì al giovedì».
È cambiato l'identikit delle donne che chiedono aiuto?
«Appartengono sempre a tutti i ceti sociali, ma c'è un aumento delle immigrate: spesso, dopo lo sbarco, questo è il primo contatto con la sanità in Italia».
Come si comporta?
«Con tutte cerco di discutere, ma non di torturarle, soprattutto quando arrivano ai limiti dei termini di legge. Se è possibile aiutarle a portare avanti la gravidanza, per me è una vittoria. Nessuna abortisce mai con piacere».
Che ne pensa del caso Verona?
«C'è un rigurgito antiabortista della politica, anche a sinistra. Ma tutti siamo a favore della vita: qui si tratta solo di applicare una legge e fare in modo che una cosa dolorosissima sia possibile come libera scelta, mettendo da parte le ideologie».
C'è lista d'attesa a Campobasso?
«Non oltre i dieci giorni, in media. Per legge, devono passarne sette dal certificato medico».
Pratica anche l'aborto farmacologico con la pillola Ru486?
«Il dieci per cento delle volte, ma cerco di evitare perché prevede obbligatoriamente il ricovero e io non posso restare in reparto 24 su 24».
Coma fa a garantire l'aborto terapeutico, dopo il terzo mese? Anche in queste circostanze è obbligatorio il ricovero.
«Ecco la vera difficoltà nel garantire assistenza adeguata, soprattutto a chi ha già avuto un parto con taglio cesareo. I casi all'anno sono una quindicina, ma non è possibile prevedere né i tempi della fine della stimolazione con i farmaci né restare in servizio a oltranza, da solo, per giorni. Per questo, alle donne cerco di consigliare di rivolgersi a strutture con un organico al completo, dopo quello che è accaduto in mia assenza durante il ricovero di una paziente in ginecologia».
A quale episodio si riferisce?
«A seguito di una rottura dell'utero, i colleghi hanno asportato l'organo e la donna ha chiesto un cospicuo risarcimento dei danni. L'inchiesta è ancora in corso, potrei essere chiamato a risponderne, ma durante l'emorragia non ero presente in ospedale».
Che succede, se si ammala?
«Lo comunico, e a quel punto spetta alla direzione intervenire».
È successo?
«È stata chiamata la collega non obiettrice a sostituirmi ma per un breve periodo».
Per le ferie, come si organizza?
«Cerco ovviamente di non prendere periodi prolungati, solo piccole vacanze di 2-3 giorni».
L'estate scorsa non ha fatto un viaggio?
«No, assolutamente».
Ma andrà all'inferno...
«Ma ho anche salvato più vite dei preti... E la mia è una battuta: sono ateo».
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