Degli anticorpi monoclonali si parla da mesi, per alcuni rappresentano un'alternativa ai vaccini, per altri una terapia marginale. AstraZeneca ha addirittura annunciato di avere allo studio un mix di monoclonali capace di proteggere l'uomo per un anno. I dubbi però sono diversi, il principale riguarda proprio la loro efficacia nel tempo.
«Gli anticorpi monoclonali - spiega Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell'Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano - derivano da alcuni studi sul plasma che hanno permesso di individuare e selezionare tra i tanti anticorpi che vengono prodotti dall'organismo durante un'infezione, quelli efficaci nel bloccare la replicazione del virus». Per il Covid-19, in particolare, si è trattato di individuare quegli anticorpi capaci di aggredire la proteina Spike, l'uncino che serve al virus per legarsi alle cellule. «L'anticorpo - spiega Pregliasco - è come se mettesse una sorta di cappuccio su questo uncino e gli impedisse di replicarsi, bloccando quindi l'infezione».
«Il limite dei monoclonali - aggiunge il direttore sanitario del Galeazzi - non è la loro efficacia ma la loro durata nel tempo». La cosiddetta cinetica all'interno dell'organismo: «Questo perché gli anticorpi subiscono un decadimento progressivo nel momento stesso in cui vengono iniettati nel corpo. Alcuni durano 90, altri 120 giorni. Il principio - prosegue Pregliasco - è lo stesso delle immunoglobuline: mentre i linfociti hanno una memoria e quindi possono predisporre una risposta immunitaria quando serve, questi sono invece anticorpi preformati che necessitano di alcuni richiami». L'organismo, quindi, da solo non è in grado di assimilarli e avviare poi una riproduzione dei monoclonali.
E come per tutti i farmaci non mancano alcuni casi di eventi avversi: si va «dalla febbre alle reazioni iperimmuni e in alcuni casi un quadro di peggioramento clinico. Dai dati in mio possesso - specifica Pregliasco - il 4% dei pazienti ad esempio manifesta nausea. Poi ci sono la febbre, ipersensibilità immediata, eccetera».
Da non sottovalutare la questione dei costi di produzione: «Gli anticorpi monoclonali costano molto di più rispetto ai vaccini, proprio per la complessità della loro creazione - sottolinea Pregliasco - per cui devono essere ancora valutati sia i costi sia i benefici. A mio avviso gli anticorpi monoclonali non potranno sostituire i vaccini a meno che non si confermi veramente la loro possibilità di resistere a lungo nel corpo. C'è poi da aggiungere che la somministrazione è per via endovenosa, una procedura particolarmente fastidiosa. Io stesso sto coordinando uno studio per capire la possibilità di somministrare gli anticorpi intramuscolo, quindi in modo più veloce». Ad oggi, inoltre, l'utilizzo degli anticorpi monoclonali non è stato ancora approvato ma solo autorizzato in via temporanea, con un meccanismo di continua revisione e su un numero ristretto di pazienti.
Infine c'è AstraZeneca che ha allo studio un mix di anticorpi monoclonali che potrebbe proteggere i pazienti fino a un anno dopo il trattamento e verrebbe somministrato in via preventiva, quindi non dopo l'infezione. «Astrazeneca spiega Pregliasco - sta studiando l'utilizzo in profilassi. È lo stesso principio che si può vedere con le ferite a rischio tetano: se non c'è una storia di immunizzazione recente, si utilizzano le immunoglobuline che danno una risposta immediata. In questo senso, lo studio di AstraZeneca è in una fase iniziale e necessiterà di conferme nel tempo: il principio è di prevenzione, mentre ad oggi si è attuato solo l'approccio terapeutico che resta comunque l'applicazione prevalente».