Morti per Coronavirus, Italia maglia nera ma i dati non sono omogenei

Morti per Coronavirus, Italia maglia nera ma i dati non sono omogenei
di Lucilla Vazza
Sabato 5 Dicembre 2020, 23:30 - Ultimo agg. 6 Dicembre, 08:12
5 Minuti di Lettura

Dall’inizio della pandemia, alla guerra contro il virus si aggiunge un’altra guerra, quella degli interrogativi senza risposta. Nei primi mesi riguardavano soprattutto le dinamiche del contagio, la diatriba sintomatici-asintomatici, poi il rebus tracciamento, i tamponi e le cure più efficaci fino alle mille domande sui vaccini che ci accompagneranno da qui a tutto il prossimo anno. Resta però su tutto il mistero della mortalità: perché in Italia si continua a morire (tanto) di Covid? Perché se i protocolli sono ormai standardizzati, ci sono aree del Paese dove si muore di più? Perché, infine, l’Italia conta più vittime di paesi europei come Spagna e Germania?  

Dopo il picco di morti del 3 dicembre, con 993 decessi registrati in 24 ore, le risposte si sono sommate, ma nessuna appare definitiva per il fatto stesso che sulle dinamiche del virus non ci sono sufficienti certezze e i conti si faranno alla fine. Partiamo dai numeri, utilizzando le ultime statistiche pubblicate dall’Ecdc (European Centre for Disease Prevention and Control) e dall’Iss (Istituto Superiore di sanità) con il presupposto che, come in una gigantesca matrioska, ogni questione ne porta al suo interno un’altra e poi un’altra a rendere ogni analisi plausibile da un lato, ma immediatamente sconfessabile dall’altro. In 14 giorni, a fronte di 58.852 morti accertate da inizio pandemia e di 1.688.939 persone contagiate, il rapporto è di 17 morti ogni 100mila casi, come noi, anzi un po’ peggio, fa il Belgio che arriva a 17,1. In Francia il rapporto vale 9,7, in Gran Bretagna 9,5, in Germania 5,6, con il record positivo della Danimarca che di morti ogni 100mila casi ne conta appena 1,5.

La fotografia dell’Ecdc, aggiornata a ieri 5 dicembre, è impietosa: peggio di noi solo Bulgaria - maglia nera d’Europa con 26,7 casi - seguita da Ungheria con 20,6 e Croazia con 19. Perfino la piccola Grecia, dalla sanità pubblica disastrata dalla troika e costretta al lockdown, pare far meglio dell’Italia fermandosi a 12,9 decessi per 100mila contagiati.  

 

Guardando all’Italia, la Lombardia con il 39,9% dei morti continua a essere la regione più colpita, seguita da Emilia Romagna e Piemonte al 10% dei deceduti globali registrati dall’inizio della pandemia. Ma è proprio così che vanno letti i numeri? L’alto rapporto contagi-morti che si sta verificando in Italia è un dato di fatto? Non proprio. Come spiega il geriatra Graziano Onder, responsabile del Dipartimento Malattie cardiovascolari, endocrino-metaboliche e invecchiamento dell’Istituto Superiore di Sanità. «Il numero dei deceduti è un parametro variabile - spiega - perché ogni paese li conta diversamente. È molto più affidabile calcolare l’eccesso di mortalità, cioè quanti morti in più abbiamo avuto rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti. Nella prima fase della pandemia i valori dell’Italia sono in linea con altri paesi europei, ad eccezione di Germania e Danimarca, che sono i Paesi che hanno gestito meglio la pandemia. Poi, perché questi paesi hanno avuto meno morti di noi è difficile a dirsi, probabilmente hanno avuto più tempo per organizzarsi rispetto a noi» e, aggiungiamo, hanno sistemi sanitari più efficienti e “ricchi” del nostro, evidentemente. 

Video

Però Onder precisa anche che «ancora non abbiamo i dati sull’eccesso di mortalità in questa seconda ondata, li avremo a fine anno. Basarsi solo sul numero di morti non fotografa la realtà perché dipende dalla fase dell’epidemia, da come vengono conteggiati i decessi e altre variabili. I conti si faranno alla fine dell’anno quando avremo i dati omogenei rispetto all’eccesso di mortalità nei vari Paesi. Se si guardano solo i numeri, nei primi mesi di pandemia il Sud Italia è andato meglio di Danimarca e Germania, non avuto eccesso di mortalità, perché di fatto il virus non ha circolato per effetto del lockdown». Nella seconda fase i numeri sono più distribuiti su tutto il Paese, ma la Lombardia resta in testa per decessi e per contagi. «La Lombardia è la regione più grande d’Italia e tra quelle con la longevità maggiore che significa una percentuale elevata di soggetti fragili e, dunque, più vulnerabili. Ma in proporzione oggi la Lombardia che ha un 39% di defunti che include i decessi della prima ondata, ha meno morti di regioni come la Campania». In pratica, a guardare i numeri nudi e crudi oggi la Lombardia non ha in proporzione ai suoi 10 milioni di abitanti più contagi e morti del resto del Paese. La Campania ha il 3,9% di decessi, di cui una minima parte è dei primi mesi di emergenza, la gran parte sono riferibili agli ultimi 3 mesi di pandemia. 

Il fattore longevità si intreccia anche con il tema dell’assistenza. Qualche risposta in più rispetto alle caratteristiche dei pazienti morti la fornisce l’Istituto Superiore di Sanità nell’ultimo report aggiornato al 2 dicembre. L’età media dei defunti è 80 anni per gli uomini e 85 per le donne (che sono il 42,3%), con un valore medio di 82 anni. In pratica, l’età media di chi è morto è più alta di oltre 30 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione e che hanno superato la malattia (età mediana pazienti deceduti 82 anni) pazienti con infezione 48 anni).

«Noi siamo tra i paesi più longevi del mondo - chiarisce ancora Onder - questo significa più disabilità, più malattie croniche e condizioni peggiori che portano a una maggiore mortalità. Non abbiamo ancora i dati, ma è verosimile che nelle Regioni dove l’età media è più bassa, come al Sud, le condizioni generali delle persone sono migliori e quindi si muore di meno». Il resto poi lo fanno le terapie, i servizi sanitari regionali e l’assistenza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA