Specialisti, reparti e assistenza: alla sanità mancano 26 miliardi

Specialisti, reparti e assistenza: alla sanità mancano 26 miliardi
di Ettore Mautone
Sabato 5 Ottobre 2019, 08:00 - Ultimo agg. 15:25
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A 40 anni dalla sua nascita il rilancio del Servizio sanitario italiano è tra le priorità del nuovo governo giallorosso. Il faro da seguire, secondo il ministro della Salute Roberto Speranza, è l'articolo 32 della Costituzione che disegna le caratteristiche di universalismo, equità e accessibilità quale strumento per esigere un fondamentale diritto della persona. L'idea di fondo è che le politiche economiche degli ultimi 10 anni - caratterizzate dal definanziamento pubblico per la sanità, considerata una spesa anziché una leva di sviluppo economico e sociale - siano state fallimentari.
 
Attualmente la Sanità italiana assorbe il 6,6 per cento del prodotto lordo mentre l'intera filiera della salute ne produce circa l'11 per cento. Il rapporto della spesa col Pil in Italia è inferiore di circa tre punti percentuali a quella di Germania (9,6%) e Francia (9,5%), di un punto percentuale rispetto al Regno Unito, e di poco superiore a quella di Spagna (6,3%), Portogallo (6,0%) e Repubblica Ceca (5,8%). I dati Ocse nell'arco temporale 2000/2017 mostrano, soprattutto a partire dal 2009, la progressiva perdita di peso del comparto sanitario sul Pil in Italia, arretrata di un punto nel differenziale con gli altri paesi. La spesa complessiva pubblica in Salute è pari a 115,4 miliardi nel 2018 ma mentre era cresciuta del 60,8% nel periodo 2000/2008 è cresciuta solo del 3,7% in più negli anni 2009/2018.

Al ritmo attuale, tra pensionamenti e nuovi ingressi, nell'arco dei prossimi 6 anni mancheranno all'appello dai 15 ai 20 mila medici senza considerare gli altri camici bianchi (infermieri tecnici e Oss). Per assumere forze fresche bisognerà impiegare una consistente fetta dei 4 miliardi messi nel piatto dal ministro Speranza nel prossimo biennio e che ha depennato le clausole di salvaguardia rispetto alla tenuta dei conti. «La carenza di medici è oggettiva, l'analisi del settore della Salute mentale è emblematico - avverte Fabrizio Starace, direttore del Dipartimento salute mentale di Modena, presidente della Società Italiana di Epidemiologia psichiatrica, unico medico designato nel Consiglio Superiore di Sanità - con il personale attuale è infatti coperto solo il 55,6% del fabbisogno di assistenza nei Dipartimentidi Salute mentale. Ciò pone seri interrogativi sulla reale possibilità, da parte di psichiatri e psicologi, di erogare cure di qualità. Si può obiettare che la più importante risorsa dei servizi diretti alla persona è costituita dal capitale umano e che negli ospedali è diverso ma credo che tali carenze siano una costante, con percentuali magari inferiori, in altri settori dell'assistenza specialistica e territoriale».

Personale che manca dunque da reclutare con un programma straordinario capace di ripopolare le corsie, ridare fiato all'assistenza, riorganizzare i servizi ospedalieri e del territorio e dare finalmente stabilità e certezze alle attività dei pronto soccorso, alla prevenzione e alle cure domiciliari per cronici e anziani di cui l'Italia è sempre più piena. Senza soldi però è difficile recitare messe. I numeri parlano chiaro: per assunzioni, tecnologie e ammodernamenti strutturali serve una iniezione consistente di risorse. In Italia, nel 2017 (l'ultimo dato disponibile) la spesa in salute ammonta complessivamente a oltre 204 miliardi di euro, 154 miliardi di spesa sanitaria pura (113 miliardi pubblica e 41 e rotti privata) e 41,8 miliardi quella sociosanitaria. «La spesa privata delle famiglie ammonta a 35,9 miliardi - avverte Nino Cartabellotta, presidente del centro studi indipendente Gimbe - e 5,8 miliardi sono le rette di intermediari privati (fondi sanitari, polizze collettive e individuali, coperture di altri enti)». Nella spesa sociosanitaria ci sono 32,7 miliardi erogati in assegni dall'Inps e 9,1 miliardi spesi direttamente dalle famiglie senza contare 7,2 miliardi per deduzioni e detrazioni per spese sanitarie e 3,33 per contributi versati a fondi sanitari integrativi. «Nel periodo 2010-2019 - conclude il presidente di Gimbe - sono stati sottratti al Ssn circa 37 miliardi di euro e l'incremento complessivo del fabbisogno sanitario nazionale è stato di soli 8,8 miliardi di euro, con una media annua dello 0,9 per cento insufficiente anche solo a pareggiare l'inflazione (+1,07 per cento). Per allineare l'Italia altri Paesi europei e offrire ai cittadini italiani un servizio sanitario di qualità, equo e universalistico sarà necessaria nel 2025 una spesa sanitaria di 230 miliardi, 26 in più del 2017».

Soldi che occorre reperire anche riformando le reti assistenziali di Asl e ospedali e tagliando a spechi e inappropriatezze su cui i piani di rientro e i commissariamenti delle Regioni hanno inciso poco. «Mancano gli specialistici, certo, soprattutto il alcune discipline di frontiera come i pronto soccorso - riflette Silvio Garattini, medico e docente in farmacologia, presidente e fondatore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri - però il primo problema è chiedersi se l'organizzazione complessiva va bene così come è oggi e se gli standard di unità e di personale siano quelli giusti rispetto alle necessità della popolazione.

Una eccessiva diffusione di servizi molto specializzati, troppe tecnologie ad alto costo distribuite sul territorio anziché concentrati in grandi centri funzionanti mattina e sera, reti fondate su piccoli ospedali obsoleti e costosi da ristrutturare e popolare di servizi minimi sono i presupposti di una riforma inevitabile. Punti nascita, chirurgie, cardiochirurgie sono da distribuire in un'ottica di produttività quantitativa e non di prossimità. Razionalizzare serve per reperire risorse da impegnare, ad esempio in oncologia, su farmaci innovativi e tecnologie di cura come le Car-t cell piuttosto che su servizi di ricovero in ospedaletti di provincia che disperdono risorse per equipe mediche e chirurgiche che vantano pochi interventi all'anno. L'Agenas - conclude Garattini - dispone di tutti i dati relativi alla frequenza di interventi e agli esiti. Su quei dati una rivisitazione della stima del fabbisogno del personale e delle reti di cura andrebbe fatta. Moderni centri ospedalieri distribuiti in poli strategici assicurano appropriatezza e qualità. Poi se c'è da aumentare il numero delle specializzazioni va fatto. Tutto questo è compito delle Regioni ma se non lo fanno o lo fanno male allora dovrebbero valere le disposizioni del ministero della Salute».

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