Utero in affitto, la Consulta: valutare sempre interesse del minore, caso per caso

Utero in affitto, la Consulta: valutare sempre interesse del minore, caso per caso
Lunedì 18 Dicembre 2017, 13:57 - Ultimo agg. 19 Dicembre, 17:07
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Il giudice chiamato a pronunciarsi sull'impugnazione del riconoscimento del figlio naturale concepito con maternità surrogata è sempre tenuto a valutare comparativamente l'interesse alla verità e l'interesse del minore. E anche in caso di silenzio della legge, vanno valutate «le modalità del concepimento» e «la possibilità per il genitore sociale di stabilire, mediante l'adozione in casi particolari, un legame giuridico che garantisca al minore un'adeguata tutela». Lo afferma una sentenza della Corte costituzionale.

Nella sentenza n. 272, depositata oggi (relatore Giuliano Amato), la Corte afferma che anche nell'azione prevista dall'articolo 263 del Codice civile è ineludibile la valutazione comparativa fra l'interesse alla verità e l'interesse del minore. Vi sono casi in cui tale valutazione è fatta direttamente dalla legge (così è, ad esempio, per il disconoscimento del figlio concepito da fecondazione eterologa); ve ne sono altri «in cui il legislatore impone, all'opposto, l'imprescindibile presa d'atto della verità, con divieti come quello della maternità surrogata. Ma l'interesse del minore non è per questo cancellato».

Nel silenzio della legge, come nel caso in esame, la valutazione è dunque più complessa della sola alternativa vero/falso.
Tra le variabili di cui tener conto, «oltre alla durata del rapporto con il minore e, quindi, alla condizione identitaria già acquisita, oggi assumono particolare rilevanza le modalità del concepimento e della gestazione» e la possibilità per il genitore sociale di stabilire, mediante l'adozione in casi particolari, un legame giuridico che garantisca al minore un'adeguata tutela. Nella valutazione comparativa rimessa al giudice rientra anche la considerazione dell'elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, che «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». Perciò la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d'appello di Milano sull'articolo 263 del Codice civile.
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