Barone lascia la Normale di Pisa: «Il no a Napoli trionfo del conservatorismo»

Barone lascia la Normale di Pisa: «Il no a Napoli trionfo del conservatorismo»
di Gigi Di Fiore
Giovedì 10 Gennaio 2019, 10:30 - Ultimo agg. 15:12
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Alla riunione del Senato accademico non era presente. Al suo posto, Vincenzo Barone ha fatto arrivare una lettera protocollata di dimissioni dalla carica di direttore della Scuola Normale di Pisa. Dimissioni mantenute, nonostante l'invito del ministro Marco Bussetti a restare. Dopo due anni e mezzo, il professore Barone lascia per le polemiche seguite al progetto di Scuola di specializzazione meridionale a Napoli con la collaborazione della Normale che aveva sponsorizzato senza successo.

Professore Barone, come si sente dopo le dimissioni?
«Come può immaginare. Sono anche a letto ammalato, ma finalmente rilassato».

Quando ha deciso di lasciare?
«Nella notte, nonostante il ministro Bussetti mi avesse invitato a restare nell'incontro a Roma del giorno precedente».

Cosa l'ha spinta alla decisione?
«La consapevolezza che contro di me avrei avuto il 90 per cento della Scuola. Hanno prevalso le logiche delle decisioni prese in modo informale in una stanza e le assemblee pilotate. Logiche contrarie alle mie idee di massima trasparenza con decisioni da prendere sempre e solo nella sede istituzionale del Senato accademico, unico luogo riconosciuto di confronto interno».
 
Cosa è successo in un mese?
«Credo sinceramente che la vicenda della Scuola superiore meridionale sia stato solo un pretesto per chi non aveva creduto che, alla fine, avrei davvero cercato di attuare il mio programma illustrato all'elezione».

Pensa di aver toccato interessi e poteri interni?
«Io ho un'idea di Università aperta all'esterno, molti difendono ancora la chiusura. Al Senato accademico ho fatto arrivare la lettera di dimissioni con la lettera del ministro. Nonostante questo, i docenti hanno voluto leggere i motivi per cui volevano le mie dimissioni. Un passaggio, a quel punto, inutile. Ma ognuno ha il suo stile».

L'hanno accusata di avere evitato il confronto sul progetto di Scuola superiore meridionale da avviare a Napoli con la collaborazione della Normale di Pisa. Come stanno le cose?
«Le date sono importanti. Ragioniamo su quelle. Il 12 dicembre viene stravolto in commissione parlamentare il progetto iniziale, sette giorni vado al Miur e il giorno dopo ho riunioni con i docenti. Parte una loro lettera che mi invita a dimettermi e c'è l'assemblea degli studenti. Quando il 30 viene approvata la legge che stravolge il progetto iniziale, invio al ministro la mia lettere di dimissioni. Era il 31 dicembre».

Tutto in due settimane?
«Sono convinto che, se non fosse stato stravolto il progetto iniziale, nessuno avrebbe chiesto le mie dimissioni ottenute poi con grande rapidità. Il 4 gennaio il ministro mi invitava a ripensarci, l'otto ho avuto con lui un incontro a Roma. Poi ho deciso, avendo convocato la seduta del Senato accademico nel primo giorno utile, senza fuggire il confronto. Lo hanno fatto altri che, senza discutere o confrontarsi nella sede istituzionale, avevano già chiesto le mie dimissioni».

Ha colpito poteri interni?
«Diciamo che non sono piaciute certe mie prese di posizione su delle interferenze nei concorsi, certe mie aperture alla trasparenza verso l'esterno o le mie fiondate sulle difficoltà delle donne a fare carriera».

Quanto hanno pesato le interferenze politiche esterne della Lega pisana?
«Credo che ci siano state spinte intrecciate. Ho già detto quanto questo precedente mini l'autonomia, riconosciuta dalla Costituzione, del sistema universitario».

Che insegnamento pensa possa trarre il sistema universitario dalla sua vicenda?
«Si lavora in grande difficoltà, con poche risorse, ristrettezze. I fondi al progetto della Federico II arrivano dal ministero dell'Economia, non dal Miur. Non sono quindi fondi sottratti al sistema universitario. Detto questo, certe accuse di auto referenzialità nascono anche dalle difficoltà a lavorare del sistema universitario nel suo complesso».

Cosa pensa del progetto, come è stato approvato, della Scuola superiore alla Federico II?
«Credo che nasca con più difficoltà rispetto a quello che poteva diventare un avvio sperimentale con la collaborazione della Normale di Pisa. Una governance esterna avrebbe aiutato a svincolarsi da condizionamenti e pressioni. Detto questo, faccio i miei migliori auguri al rettore Manfredi che è un mio amico».

Ora cosa farà?
«Mi prendo un po' di tempo per recuperare serenità.

Questa storia ha avuto riflessi anche su rapporti personali. Spero di poter tornare a fare ricerca nella mia materia, che è la chimica. Certo, non sono disposto ad essere considerato come un direttore dimissionario che ha sbagliato. Avrò fatto errori come tutti, ma sempre nella convinzione di attuare il programma annunciato. E, nel programma, c'era anche la collaborazione con la Federico II per la Scuola di specializzazione meridionale».

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