Covid, il ministro Manfredi: «Sì a più specializzandi ma Medicina resterà a numero chiuso»

Covid, il ministro Manfredi: «Sì a più specializzandi ma Medicina resterà a numero chiuso»
di Nando Santonastaso
Mercoledì 18 Novembre 2020, 11:03 - Ultimo agg. 15:00
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Ministro Manfredi, mancano medici e infermieri, soprattutto al Sud: ha ancora senso, 21 anni dopo, mantenere il numero chiuso per le immatricolazioni a Medicina?
«Ho sempre mantenuto su questo tema la stessa posizione risponde Gaetano Manfredi, ministro per l'Università e la Ricerca -. Abolire il numero chiuso significa fare affluire oggi sia a Medicina che alle Scienze infermieristiche un numero di persone sensibilmente superiore al reale fabbisogno. Ogni anno partecipano alle due prove di ammissione non meno di 60-70mila candidati quando il fabbisogno totale, non annuale cioè, è di alcune decine di migliaia di unità. La vera scommessa dunque è di accrescere il numero programmato e lo stiamo già facendo».

Più posti insomma rispetto al passato già da quest'anno accademico?
«Esattamente. Anche se non tutti erano d'accordo già quest'anno ho aumentato i posti a Medicina fino a 13mila, 1.500 in più cioè, e conto di fare lo stesso anche l'anno prossimo compatibilmente con le risorse che avremo a disposizione. Ricordo che solo due anni fa i posti erano meno di 10mila. E anche per le Infermieristiche i posti disponibili sono stati aumentati quest'anno di altri mille: la programmazione peraltro dipende anche dal ministro della Salute, non solo da me, ma è evidente che se sarà possibile faremo lo stesso anche l'anno prossimo».

Intanto però bisogna affrontare un'emergenza che sembra esplosa all'improvviso e che forse è stata anche sottovalutata negli anni. Che fare?
«Il tema è la programmazione perché chi si iscrive oggi a Medicina si laureerà tra sei anni e poi dovrà specializzarsi. Oggi stiamo cioè formando i medici che avremo tra dieci anni, non domani. Per questa emergenza abbiamo potenziato tantissimo i posti nelle Scuole di specializzazione, arrivando a quota 14.500 rispetto ai 9mila dello scorso anno. Un incremento significativo, mi pare, che contiamo di mantenere anche per il prossimo anno con le risorse previste nella legge di Bilancio. Cercheremo cioè di dare una opportunità di specializzazione a tutti i medici che si sono nel frattempo laureati: contiamo così di colmare il più in fretta possibile l'imbuto formativo che si è determinato negli anni».
Ma la maggiore carenza rimane quella di anestesisti e rianimatori. Come si può supplire in questa fase?
«Il problema degli anestesisti rimanda ancora una volta alla programmazione del fabbisogno.

Alcune specializzazioni, come questa, benché sia stato incrementato il numero dei posti, tendono a essere poco scelte dagli studenti perché legate essenzialmente all'emergenza. Succede spesso che chi sceglie queste specializzazioni perché ha solo questo posto disponibile, l'anno successivo ripartecipa al concorso ma per un'altra specializzazione, falsando di fatto il reale fabbisogno e la programmazione. Quel posto, in altre parole si brucia. Quest'anno, nonostante i tanti ricorsi, ho messo una penalizzazione a coloro che cambiano l'anno successivo: io capisco che la preferenza della maggior parte degli studenti è per le specializzazioni meno legate all'area sanitaria dell'emergenza ma poi a noi mancano specialisti in medicina d'urgenza o in anestesia e in quasi tutte le professioni di urgenza. Nel bando di quest'anno abbiamo perciò previsto 1.500 posti di specializzazione in anestesia proprio per cercare di colmare questo buco, sono mille in più di due anni fa. Mi auguro che i ragazzi colgano questa opportunità».

Nella manovra appena varata c'è anche un nuovo forte impegno per il diritto allo studio, di cosa si tratta esattamente?
«Avevamo già fatto quest'anno un intervento emergenziale sul diritto allo studio che ci ha permesso di incrementare il numero degli iscritti alle università. Sono davvero orgoglioso del fatto che abbiamo registrato in un anno così difficile e particolare un incremento superiore al 5% di immatricolazioni, con una buona percentuale anche nel Mezzogiorno dove invece si temeva un calo di 10mila iscritti per ragioni di carattere economico. Nella manovra le risorse per il diritto allo studio, 300 milioni tra borse di studio e riduzione delle tasse, sono state confermate e lo saranno per sempre, essendo state scollegate dall'emergenza. Mi sembra un segnale importante: l'investimento ha funzionato bene ed era giusto renderlo strutturale».

Il 2021 sarà anche l'inizio del progetto di replica in altre città del Mezzogiorno del fortunato modello di San Giovanni a Teduccio, il polo dell'innovazione che mette insieme ricerca, università, enti locali e imprese. Cosa succederà?
«È un progetto pilota che anticipa di fatto un progetto più grande che farà parte del Recovery plan e sarà di dimensione nazionale. L'idea è di partire con il Sud, puntando sulle preesistenze, da realtà cioè dove già esistono gli ingredienti giusti per poter ripetere l'esperienza napoletana della Federico II: penso ad esempio alle città in cui ci sono già relazioni già importanti tra università, aziende, enti di ricerca. Guarderemo, insieme al ministro Provenzano, a ciò che è già sul campo, ai grandi gruppi che operano nel Mezzogiorno, dall'aerospazio pugliese alla microelettronica siciliana, dal digitale all'energia. Le vocazioni territoriali saranno il punto di riferimento: il format resterà quello di San Giovanni, gli attori dipenderanno dalle realtà dei singoli territori. Il risultato, mi auguro che sarà ancora più significativo».

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