Non basta l'entusiasmo, o la preparazione. I giovani ricercatori fuggono all'estero per le difficoltà a trovare spazi e guadagni. L'esercito dei ricercatori è cresciuto dal 2005 al 2016 di 60mila unità. Un esercito che, nelle Università, è di 78mila occupati, secondo la «Relazione sulla ricerca e l'innovazione in Italia elaborata dal Cnr». Il turn over è fermo, con metà dei docenti universitari italiani oltre i 50 anni.
Dal 2006 è una dei 260 ricercatori dell'Istituto per i tumori Pascale a Napoli. Laureata in Farmacia, 39 anni, la nolana Anna Maria Rachiglio è andata avanti per 14 anni con uno stipendio di 700 euro al mese. Ora ha un contratto a tempo determinato per poco più di mille euro al mese. Dice: «Tengo duro, in attesa di concorsi che non sono stati banditi, non ho intenzione di lasciare l'Italia».
Molti aspettano un contratto o un concorso da oltre 20 anni. Già entrare nella fascia A e B dei ricercatori, quella a tempo di 3 anni in attesa di un concorso di associato, è diventata una scommessa sostenuta da un tutor docente ordinario. E c'è chi lascia la ricerca universitaria, per lavorare con le imprese dove i ricercatori sono 72mila.
Andrea ha 43 anni, guadagna 1500 euro e da quasi 20 anni attende un contratto e un concorso che gli possa assicurare stabilità. Dice: «Preferisco non dire il mio cognome, lavoro a Roma. Il calo progressivo di finanziamenti sulla ricerca ha provocato la diminuzione di lavoro nella ricerca. Il precariato ne è l'effetto, con abusi di ogni tipologia di borse, assegni di ricerca, dottorati. Concorsi sempre più rari, pochi posti, spesso già assegnati, e migliaia di concorrenti».
Il Pnnr dovrebbe portare ossigeno anche alla ricerca. Prevede 14 miliardi per Università e ricerca, di cui 6,9 per ricerca di base e applicata pari al 47 per cento. Un altro 20 per cento di fondi è destinato alla ricerca industriale. Ha annunciato la ministra della Ricerca, Maria Cristina Messa: «Va snellita la burocrazia, l'intero reclutamento dei ricercatori è a un punto morto. Stiamo cercando di accelerare la revisione delle carriere». La ministra del governo Draghi ha più volte spiegato che il futuro della ricerca è nel ricambio generazionale, se l'età media dei ricercatori è di ben 49 anni. Ha annunciato la ministra Messa: «Buona parte dei ricercatori resta nel limbo per troppi anni. Pensiamo a una fase di post-dottorato di non più di sette anni, dopo di cui il ricercatore può diventare ricercatore permanente negli istituti di ricerca, o professore associato all'Università». Propositi che Domenico Mallardo, 34 anni, giuglianese laureato in Biotecnologia, guarda con speranza. Da 10 anni ricercatore al Pascale, ha uno stipendio pari a quello di un tecnico di laboratorio. All'estero ha lavorato a Seattle, poi è entrato nel gruppo di ricercatori di Paolo Ascierto. Dice: «Sono stato ancora al lavoro negli Stati Uniti, poi sono tornato sperando di poter fare ricerca in Italia».
Un obiettivo comune anche a Maria Serena Roca, avellinese di 33 anni, mamma di una bambina di un anno e mezzo. Per un anno ha lavorato ad Amsterdam, poi è entrata nel gruppo di ricerca di Alfredo Budillon al Pascale. Anche lei ha utilizzato la legge Madia sul superamento del precariato. Racconta: «Il mio obiettivo è restare a fare ricerca qui, non all'estero. Lavoriamo sulle combinazioni farmacologiche basate sull'utilizzo di inibitori nei tumori».
Il ricambio generazionale è ostacolato anche dall'età pensionabile elevata: 70 anni per i docenti ordinari, 66 per i ricercatori. Si legge nella Relazione del Cnr: «Emerge una tendenza a congelare il settore della ricerca in corrispondenza di situazioni di difficoltà per le finanze pubbliche, bloccando l'ingresso di nuovi ricercatori e allungando i tempi di permanenza dei ricercatori più maturi». La precarietà è aumentata anche con i cosiddetti «assegnisti di ricerca», vincolati a singoli progetti. Un escamotage, che ha partorito 2895 assegnisti negli enti pubblici di ricerca. Una pattuglia cresciuta nelle Università a partire dal 2009, con età media di 34 anni. Precariato cronico. E aggiunge la Relazione del Cnr: «Il sistema della ricerca continua a reclutare nuovi ricercatori anche in assenza di precise linee programmatiche, per la capacità dei ricercatori più anziani di reperire finanziamenti da fonti esterne. E la mancanza di programmazione non consente di avere una chiara prospettiva sulla permanenza futura degli assegnisti di ricerca nelle Università». Un sistema da cane che si morde la coda.