Giorgio Parisi Nobel per la fisica, la vita grama dei ricercatori italiani tra paghe basse e vent'anni di precariato

Giorgio Parisi Nobel per la fisica, la vita grama dei ricercatori italiani tra paghe basse e vent'anni di precariato
di Gigi Di Fiore
Giovedì 7 Ottobre 2021, 11:00 - Ultimo agg. 8 Ottobre, 07:15
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Non basta l'entusiasmo, o la preparazione. I giovani ricercatori fuggono all'estero per le difficoltà a trovare spazi e guadagni. L'esercito dei ricercatori è cresciuto dal 2005 al 2016 di 60mila unità. Un esercito che, nelle Università, è di 78mila occupati, secondo la «Relazione sulla ricerca e l'innovazione in Italia elaborata dal Cnr». Il turn over è fermo, con metà dei docenti universitari italiani oltre i 50 anni. 

Dal 2006 è una dei 260 ricercatori dell'Istituto per i tumori Pascale a Napoli. Laureata in Farmacia, 39 anni, la nolana Anna Maria Rachiglio è andata avanti per 14 anni con uno stipendio di 700 euro al mese. Ora ha un contratto a tempo determinato per poco più di mille euro al mese. Dice: «Tengo duro, in attesa di concorsi che non sono stati banditi, non ho intenzione di lasciare l'Italia».

Nella stessa situazione è anche Mariella Tagliamonte, 46 anni, sposata con due figli. Specializzata in immunologia dei tumori, ha lavorato in Francia per poi tornare in Italia. «Attendo da anni di stabilizzarmi con un concorso» dice. 

Molti aspettano un contratto o un concorso da oltre 20 anni. Già entrare nella fascia A e B dei ricercatori, quella a tempo di 3 anni in attesa di un concorso di associato, è diventata una scommessa sostenuta da un tutor docente ordinario. E c'è chi lascia la ricerca universitaria, per lavorare con le imprese dove i ricercatori sono 72mila.

Andrea ha 43 anni, guadagna 1500 euro e da quasi 20 anni attende un contratto e un concorso che gli possa assicurare stabilità. Dice: «Preferisco non dire il mio cognome, lavoro a Roma. Il calo progressivo di finanziamenti sulla ricerca ha provocato la diminuzione di lavoro nella ricerca. Il precariato ne è l'effetto, con abusi di ogni tipologia di borse, assegni di ricerca, dottorati. Concorsi sempre più rari, pochi posti, spesso già assegnati, e migliaia di concorrenti». 

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Il Pnnr dovrebbe portare ossigeno anche alla ricerca. Prevede 14 miliardi per Università e ricerca, di cui 6,9 per ricerca di base e applicata pari al 47 per cento. Un altro 20 per cento di fondi è destinato alla ricerca industriale. Ha annunciato la ministra della Ricerca, Maria Cristina Messa: «Va snellita la burocrazia, l'intero reclutamento dei ricercatori è a un punto morto. Stiamo cercando di accelerare la revisione delle carriere». La ministra del governo Draghi ha più volte spiegato che il futuro della ricerca è nel ricambio generazionale, se l'età media dei ricercatori è di ben 49 anni. Ha annunciato la ministra Messa: «Buona parte dei ricercatori resta nel limbo per troppi anni. Pensiamo a una fase di post-dottorato di non più di sette anni, dopo di cui il ricercatore può diventare ricercatore permanente negli istituti di ricerca, o professore associato all'Università». Propositi che Domenico Mallardo, 34 anni, giuglianese laureato in Biotecnologia, guarda con speranza. Da 10 anni ricercatore al Pascale, ha uno stipendio pari a quello di un tecnico di laboratorio. All'estero ha lavorato a Seattle, poi è entrato nel gruppo di ricercatori di Paolo Ascierto. Dice: «Sono stato ancora al lavoro negli Stati Uniti, poi sono tornato sperando di poter fare ricerca in Italia». 

Un obiettivo comune anche a Maria Serena Roca, avellinese di 33 anni, mamma di una bambina di un anno e mezzo. Per un anno ha lavorato ad Amsterdam, poi è entrata nel gruppo di ricerca di Alfredo Budillon al Pascale. Anche lei ha utilizzato la legge Madia sul superamento del precariato. Racconta: «Il mio obiettivo è restare a fare ricerca qui, non all'estero. Lavoriamo sulle combinazioni farmacologiche basate sull'utilizzo di inibitori nei tumori».

Il ricambio generazionale è ostacolato anche dall'età pensionabile elevata: 70 anni per i docenti ordinari, 66 per i ricercatori. Si legge nella Relazione del Cnr: «Emerge una tendenza a congelare il settore della ricerca in corrispondenza di situazioni di difficoltà per le finanze pubbliche, bloccando l'ingresso di nuovi ricercatori e allungando i tempi di permanenza dei ricercatori più maturi». La precarietà è aumentata anche con i cosiddetti «assegnisti di ricerca», vincolati a singoli progetti. Un escamotage, che ha partorito 2895 assegnisti negli enti pubblici di ricerca. Una pattuglia cresciuta nelle Università a partire dal 2009, con età media di 34 anni. Precariato cronico. E aggiunge la Relazione del Cnr: «Il sistema della ricerca continua a reclutare nuovi ricercatori anche in assenza di precise linee programmatiche, per la capacità dei ricercatori più anziani di reperire finanziamenti da fonti esterne. E la mancanza di programmazione non consente di avere una chiara prospettiva sulla permanenza futura degli assegnisti di ricerca nelle Università». Un sistema da cane che si morde la coda.

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