Il «modello Ferrari» per guidare la ricerca Europea

Il «modello Ferrari» per guidare la ricerca Europea
di Francesco Salvatore*
Martedì 4 Giugno 2019, 20:00
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“E’ una tragedia che l’Italia sia tra i fanalini di coda in Europa negli investimenti per la ricerca”. Ho subito pensato a questa sua dichiarazione (come suo costume priva di ipocrisie da ‘politically correct’) quando qualche giorno fa ho appreso con grande gioia, e con un pizzico di orgoglio, della nomina del ‘nostro’ Mauro Ferrari a capo dell’ERC - European Research Council. Il Consiglio Europeo della Ricerca è l’agenzia indipendente della UE per il finanziamento più rilevante della ricerca in un continente di 500 milioni di persone. La scelta di Mauro Ferrari, fondatore delle nanobiotecnologie a livello mondiale e presidente per molti anni dello Houston Methodist Research Institute, è un riconoscimento importantissimo alla qualità dei ricercatori e degli scienziati italiani che sanno farsi onore in giro per il mondo. Ahimè spesso anche perché costretti alla ‘fuga’, o meglio, al non ritorno, dalla miopia delle nostre politiche di investimento sulla ricerca scientifica. Mauro Ferrari, friulano doc (con tanto di ‘sigillo’ conferitogli dalla città di Udine), per Napoli è stato spesso un punto di riferimento ed a Napoli ha spesso lavorato intervenendo con passione e dedizione grazie (mi sia consentito ricordarlo anche con un po’ di orgoglio) alle ‘chiamate’ del Ceinge, il Centro di Ingegneria Genetica che ho fondato nel 1984, e che lo ha inserito, insieme con due premi Nobel, nel suo comitato di valutazione internazionale.

Proprio a Napoli, al Ceinge, Mauro Ferrari ha collaborato a formare un gruppo di lavoro sulle nanotecnologie con applicazioni in medicina ai fini del trasporto di agenti terapeutici fino al target finale di tumori maligni. E proprio ad una ‘lezione’ napoletana risale la sferzata di Ferrari sulla ‘tragedia’ degli investimenti italiani sulla ricerca. Una lezione memorabile, tenuta in occasione della cerimonia di conferimento del primo dottorato italiano “honoris causa” in Scienze Biotecnologiche che gli abbiamo attributo nel 2014 all’Università Federico II di Napoli con una magistrale laudatio dell’attuale presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, Gaetano Manfredi. Ed è da quella lezione come da quell’altra tenuta in Accademia delle Scienze (detta dei XL) dove lo eleggemmo alcuni anni fa e dove qualche giorno fa è venuto alla inaugurazione del nuovo anno accademico, che traggo spunto per immaginare quelle che saranno le linee guida della presidenza di Ferrari (che sarà operativa dal 1 gennaio 2020) al Consiglio Europeo della Ricerca.

La ricerca, secondo Ferrari, deve essere innanzitutto al servizio della comunità ed è per questo che nei suoi centri americani ha sempre puntato molto sulla ricerca translazionale, quella, ad esempio, che trasforma in tempi non molto lunghi le scoperte scientifiche in applicazioni cliniche e lo ha sempre fatto investendo molto sui giovani cervelli e sulle collaborazioni internazionali. Un modello vincente che sarà possibile seguire anche in Europa soprattutto grazie ad un’altra buona notizia che ha accompagnato quella ottima della nomina di Ferrari all’ERC. La Commissione Europea ha, infatti, proposto un aumento significativo del bilancio dell’ERC dai 13,1 miliardi di euro del periodo 2014-2020 ai 16,6 miliardi di euro per il 2021-2027. Un aumento enorme di quasi il 30% che dimostra come a livello europeo ci sia finalmente una ferma convinzione della necessità di investire sulla ricerca scientifica per realizzare lo sviluppo economico e sociale dei Paesi Europei.

Un segnale forte che mi auguro possa essere raccolto presto anche nel nostro Paese e dai nostri neo-eletti al Parlamento Europeo, in quanto, per fortuna, anche in Italia finalmente si inizia a muovere qualcosa sull’impegno per riattrarre i migliori cervelli fuggiti (penso agli incentivi del recente decreto “Crescita”). Un modello che ancora una volta mi fa pensare alla ‘lezione’ napoletana di Mauro Ferrari ed al modello “vai e torna” che ci aveva illustrato più volte nel corso delle nostre riunioni. Un modello che ha applicato il suo Centro di Ricerca di Houston e che consente scambi formativi tra paesi stranieri finalizzati al ritorno presso il paese d’origine. Un modello virtuoso che abbiamo iniziato a sperimentare in Italia proprio al CEINGE che ha inviato ricercatori napoletani anche a Houston per poi farli rientrare a Napoli o in Italia dopo qualche anno di studi e ricerca ed anche viceversa. Del resto se i ‘cervelli’ italiani (come ci dimostra la storia di Mauro Ferrari e questa sua nuova nomina) sono apprezzati e richiesti in tutto il mondo, forse sarebbe davvero giunto il momento di iniziare ad usarli innanzitutto per lo sviluppo del nostro Paese. E se i nostri cervelli sono invidiati nel mondo e sono ottime le nostre Università che li formano, cerchiamo di costituire anche in Italia centri di attrazione internazionali dove “i cervelli buoni ed ottimi” possano ben lavorare e produrre.

*Professore emerito dell’Università Federico II, fondatore del CEINGE e membro dell’Accademia delle Scienze
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