Nascono gli atenei di serie A
con regole-tagliola per il Sud

Nascono gli atenei di serie A con regole-tagliola per il Sud
di Marco Esposito
Domenica 12 Maggio 2019, 12:53 - Ultimo agg. 20:59
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L'idea è buona: sperimentare per tre-cinque anni modelli avanzati di autonomia universitaria. L'attuazione però lascia quanto meno perplessi: quasi tutti i criteri per dimostrarsi meritevoli di maggiore autonomia penalizzano sfacciatamente il Mezzogiorno. La sintesi la fa il sito specializzato Roars.it, già protagonista dello scoop sulle bozze di regionalismo differenziato: «Partono le università di serie A: saranno al Nord e le deciderà l'Anvur».
Il ministero guidato da Marco Bussetti si è affrettato a precisare che il documento pubblicato è «semplicemente una prima bozza elaborata da un gruppo di lavoro coordinato dal direttore Livon». Il documento messo a punto da Daniele Livon, friulano, direttore generale del Miur per l'Università, è quindi assolutamente autentico e, per quanto presentato come «prima bozza», è completo in ogni sua parte, comprese le premesse normative e lo spazio per la firma in calce del ministro. Siamo di fronte, quindi, a un progetto di riforma previsto dalla legge Gelmini nel quale è importante capire cosa potranno fare gli atenei che parteciperanno alla Serie A e con quali criteri si sceglierà chi ha diritto a entrare nell'élite dell'eccellenza formativa.

 
L'AUTONOMIA
Gli atenei di eccellenza, sia statali sia privati, potranno presentare dei progetti sperimentali di durata compresa fra i tre e cinque anni. Se il progetto sarà approvato, gli spazi di libertà saranno notevoli. Per esempio si potrà assumere a termine un docente o ricercatore in servizio all'estero, con la doppia affiliazione, quindi senza che il prof debba lasciare il suo ateneo. Verrà consentita la chiamata diretta di docenti e ricercatori, con la libertà di determinare la retribuzione e con incentivi per chi si trasferisce da altri atenei, anche della medesima regione. Si potrà pagare di più il professore che porti commesse per conto terzi o finanziamenti pubblici o privati. Si potranno organizzare lauree di base o magistrali insieme a università straniere. Sarà possibile costruirsi in casa sistemi di autovalutazione. Sarà consentito creare dipartimenti con soli 28 docenti, contro il minimo di 35. Novità che possono snaturare il ruolo delle università ma anche dinamizzarlo e che quindi, in via sperimentale, hanno una connotazione positiva, la cui valutazione è affidata all'Anvur. Ma a chi sarà consentita tale autonomia?
LA SELEZIONE
Le regole per essere ammessi alla sperimentazione sono una vera e propria tagliola per il Mezzogiorno. Oltre ai requisiti finanziari di stabilità di bilancio, con limiti al debito e alle spese di personale negli ultimi due esercizi finanziari, c'è infatti la regola di rispettare almeno tre parametri in un elenco di sette virtù. Solo una delle sette regole della didattica non ha una penalizzazione territoriale, la numero 2. In sostanza si valuta positivamente l'ateneo che riduce, da un anno all'altro, il tasso di abbandono di studenti fra il primo e il secondo anno di una laurea triennale o magistrale. Un fattore che, misurando ciascun ateneo rispetto a se stesso, premia chi migliora la propria prestazione. Per gli altri sei criteri, invece, gli atenei possono fare poco o nulla ma solo beneficiare - o essere danneggiati - dal contesto territoriale, che come è noto è sfavorevole al Mezzogiorno da quando, dopo l'Unità d'Italia, si è aperto il divario Nord-Sud. Gli esempi rendono bene l'idea. Il criterio numero 1 è soddisfatto se almeno il 7% dei laureati in corso dell'ateneo ha ottenuto all'estero 12 crediti formativi per le lauree triennali oppure 18 crediti formativi per le magistrali. Si premia, in sostanza, la partecipazione con profitto all'Erasmus la quale però, per i costi che comporta, è una opportunità utilizzata in massima parte dalle famiglie agiate. Non a caso le prime cinque università italiane per studenti in uscita sono Bologna, Padova, Sapienza, Torino e Statale di Milano.
Drammatico per il Mezzogiorno è poi il parametro della «percentuale di studenti del primo anno» con «diploma di scuola secondaria superiore conseguito fuori regione in misura non inferiore al 10%». I flussi regionali infatti sono tutti in direzione Sud-Nord e immaginare che le università siciliane, sarde o calabresi per meritare debbano attrarre studenti fuori regione è davvero una prova diabolica. Anzi: il tema dovrebbe essere come riequilibrare i flussi migliorando le opportunità di studio nel Mezzogiorno.
Analoga trappola per il Sud è la clausola degli studenti stranieri con diploma conseguito all'estero non inferiore all'1%, perché anche gli stranieri si concentrano verso atenei con corsi specializzati o con migliori attrezzature residenziali, carenti nel meridione.
La virtù numero cinque favorisce gli atenei che hanno almeno il 15% di studenti del primo anno della laurea magistrale provenienti da un altro ateneo, parametro che fotografa un fenomeno recente che va rapidamente crescendo nel Mezzogiorno: la laurea triennale nella propria città e poi anticipare l'emigrazione iscrivendosi per la magistrale in un'università di una città che offra molte opportunità d'impiego. Un fenomeno che ha come conseguenza la fuga dei migliori giovani del Sud e che con tale riforma viene incoraggiato. Siamo di fronte all'incentivo alla desertificazione culturale del Sud.
Restano infine gli ultimi due criteri, il sesto e il settimo, che sono lo schiaffo finale al Mezzogiorno. Misurare, cioè, quanti neolaureati abbiano trovato lavoro a distanza di dodici o di trentasei mesi. È dimostrato in tutte le analisi che tale dato non dipende dalla qualità degli studi universitari bensì dal contesto economico, per cui è ovvio che il target del 50% di occupati a 12 mesi dalla laurea triennale (tra chi non ha proseguito gli studi) oppure della laurea magistrale è agevolmente raggiungibile in Lombardia (18% di disoccupati nella fascia d'età 20-24 anni) e quasi impossibile in territori con tasso di disoccupazione giovanile come la Campania (50%) e la Sicilia (51%).
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