Università, se il Sud resta indietro

Università, se il Sud resta indietro
di Marco Esposito
Martedì 23 Gennaio 2018, 10:00
4 Minuti di Lettura
Per Raffaele Cantone alcune università del Sud sono delle «zavorre» che «forse bisognerebbe proprio chiudere». Parole - pronunciate all'università di Padova una settimana fa - che riecheggiano quelle scritte da Francesco Giavazzi, che nel 2013 propose di chiudere gli atenei di Bari, Urbino e Messina perché «fabbriche di illusioni». Ma se l'economista bergamasco è noto per le tesi liberiste, il presidente dell'Anticorruzione è un magistrato che si è formato nel sistema universitario campano, per cui le sue parole suonano ancora più dure. E così ieri a Bari - in uno degli atenei che dovrebbero sparire dalla cartina geografica in base alle classifiche Anvur del 2004-2010 - in occasione degli Stati generali dell'università pugliese il tema del divario di qualità tra atenei del Nord e del Mezzogiorno era ineludibile.

Gaetano Manfredi, presidente della Conferenza dei rettori e rettore della Federico II, ha segnalato intanto che le classifiche non sono immobili. «Credo - ha detto - che il divario tra università del Nord e del Sud si stia riducendo dal punto di vista della qualità dell'offerta formativa e anche della competitività scientifica». In effetti la valutazione Anvur 2004-2010 era la sola nota nel 2013, quando scriveva Giavazzi, ma già con la valutazione successiva - relativa al 2011-2014 - Bari aveva recuperato posizioni e non era più un ateneo da chiudere. Solo che, se nel frattempo lo avessimo chiuso, non lo avremmo mai saputo.

Tuttavia il recupero, relativo, del Mezzogiorno nell'ultima classifica Anvur non cancella il problema del divario. E Manfredi ne è ben consapevole: «È un lavoro lungo da fare e su cui ci vuole un piano integrato con un impegno forte da parte del governo e degli enti locali, per fare in modo che le università del Mezzogiorno possano essere un riferimento solido per i propri ragazzi». Senza un «piano integrato», insomma, non si riusciranno a «vincere - ha concluso il presidente della Crui - anche una serie di diseconomie di contesto, legate alle minori opportunità di inserimento lavorativo che esistono nel Mezzogiorno e che spesso allontanano i nostri giovani».
 
Il punto è che le politiche governative da alcuni anni sono orientate a premiare le strutture che funzionano meglio, per cui le distanze Nord-Sud rischiano di aumentare. Ne è un esempio decisivo il premio che hanno appena ricevuto 180 dipartimenti universitari definiti d'eccellenza, i quali riceveranno 1,3 miliardi di euro in cinque anni (2018-2022). Dei 180 dipartimenti premiati, appena 25 sono nel Mezzogiorno, perché la classifica resa nota a inizio 2018 si basa in gran parte sulle tabelle Anvur relative al 2011-2014: quindi si è svolta una gara apparente, i cui risultati finali erano facilmente prevedibili. È stato lo stesso Cantone a sottolinearlo a Padova: «Esiste uno iato enorme tra le università del Sud e del Nord. Uno iato che - ha evidenziato il magistrato - viene amplificato ancora di più dalla logica di dare i contributi a chi lavora meglio e rendere così zavorre alcune università che forse bisognerebbe proprio chiudere». E anche i finanziamenti per la ricerca destinati esclusivamente al Mezzogiorno, come spiega oggi Gianfranco Viesti su questo giornale, sono costruiti con una logica che chiude in un recinto e limita le possibilità di rilancio del sistema universitario del Sud.

Il punto è come se ne esce. Negare l'esistenza dello «iato» evidenziato da Cantone sarebbe suicida. Pensare tuttavia, come lui propone, di chiudere gli atenei nella zona d'Europa con il più basso tasso di laureati nella fascia d'età 30-34 anni sarebbe masochistico. Chiedere più soldi per tutti appare fuori tempo. E però del «piano integrato» di cui parla Manfredi non si vede traccia.

Persino la discussione sulla proposta del presidente del Senato Pietro Grasso di azzerare le tasse universitarie non ha colto la sua potenziale valenza meridionalista. I critici hanno sottolineato che togliere le tasse significa fare un favore ai ricchi, senza dare nulla ai poveri (che già non pagano). Il leader di Liberi e Uguali ha replicato che l'Università gratis è un'idea di paese che, sul modello tedesco, scommette sulla cultura. Nessuno ha però evidenziato che le tasse universitarie sono un'uscita per le famiglie ma nello stesso tempo un'entrata per gli atenei e oggi tale entrata è molto più bassa nel Mezzogiorno perché i redditi medi sono inferiori e quindi ci sono più famiglie esenti. Secondo le elaborazioni del Mattino, il gettito per studente è di 918 euro nel Mezzogiorno e di 1.405 euro al Centronord. A parità di studenti iscritti, l'Alma Mater di Bologna porta in cassa 118 milioni e la Federico II 78 milioni. E quella differenza di 40 milioni crea già un primo gradino legato proprio a quelle che Manfredi chiama «diseconomie di contesto».

Ovviamente però l'eliminazione delle tasse universitarie ha senso solo «se ci sarà, come mi auguro, un grande investimento nell'Università», come ha sottolineato a Bari Manfredi, perché se la proposta dovesse avere come effetto la riduzione delle fonti di entrate da parte degli atenei non ci sarebbe alcun beneficio per il sistema universitario: «Nel momento in cui le risorse sono così modeste - ha detto Manfredi - bisogna prima investire sui bisogni primari: nei giovani ricercatori, nell'accesso alla ricerca da parte di tanti nostri cervelli che non riescono a stare all'interno delle università, e nel sostenere maggiormente i giovani che vengono da famiglie meno abbienti, con borse di studio più numerose e con servizi più efficienti».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA