Autonomia, i vescovi: «Così spacca il Paese e declassa la Capitale»

Monsignor Filippo Santoro
Monsignor Filippo Santoro
di Franca Giansoldati
Lunedì 18 Febbraio 2019, 01:01 - Ultimo agg. 16:54
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Monsignor Filippo Santoro, presidente della Commissione Cei per i problemi sociali, il lavoro e la giustizia, avanza l’autonomia regionale richiesta dalle regioni del Nord: a voi vescovi preoccupa questa ipotesi?
«L’autonomia differenziata, per come sta andando avanti, lascia molto perplessi. Non è di sicuro quel sano regionalismo di cui forse tutti avremmo bisogno e che noi vescovi vediamo in maniera favorevole. Qui la questione è ben diversa: da quello che ascoltiamo il cammino intrapreso è fonte di preoccupazione. Cosa potrà accadere? Che effetti avrà? Lo dico da vescovo del Sud, più che da membro della commissione della Cei che si occupa di problemi sociali. La Chiesa finora non ha mai rigettato il principio delle autonomie regionali ispirate al principio della sussidiarietà, dove lo sviluppo delle funzioni pubbliche può essere più vicino ai cittadini, ma solo laddove il livello territorialmente superiore è in grado di fare meglio di quello di inferiore. Con l’autonomia differenziata però è diverso».

Perché?
«E’ necessario che i servizi fondamentali siano erogati in maniera uniforme e adeguata in tutte le regioni, altrimenti si potrebbe originare una evidente sperequazione tra Nord e Sud. E questo sarebbe l’inizio del frazionamento del Paese. Si metterebbe inevitabilmente a rischio l’unità nazionale dal punto di vista politico. Aumenterebbero le disparità tra regione e regione, non sarebbero più garantiti gli stessi servizi fondamentali di base a tutti. Anche qui, da vescovo del Sud, penso per esempio, alle grandi carenze in campo economico e alla disoccupazione giovanile che si attesta quasi al 50% in alcune zone del meridione».

All’orizzonte non vede proprio niente di buono?
«Con tutta la buona volontà faccio fatica. Il nostro giornale, l’Avvenire, si è occupato di questo tema con grande obiettività, mettendo in evidenza che alcune regioni diventeranno fortemente attrattive dal punto di vista economico, su di loro si convoglieranno una gran parte delle tasse, visto che potranno contare su una maggiore quota del gettito fiscale. Anche in questo caso è un rischio per la tenuta d’insieme. La Regione Puglia, per esempio, all’inizio guardava con favore l’autonomia differenziata ma poi vedendo i termini della questione ha fatto un passo indietro. Sarebbero penalizzate le regioni del Sud rispetto al Nord. Auspico che nei giorni prossimi venga fatta una riflessione per aprire un approfondimento e uno studio più approfondito. Così come è, senza aggiustamenti, è solo un cammino per spaccare l’Italia».

Anche i sindacati hanno espresso riserve visto che le scuole saranno regionalizzate. Sono timori esagerati?
«Se fosse applicata la sussidiarietà le caratteristiche locali si svilupperebbero meglio. Persino nel caso scolastico, senza correttivi, si va incontro al rischio di avere una scuola di serie A e un’altra di serie B. La formazione essenziale deve essere uguale per tutti i cittadini, del Nord e del Sud, fermo restando che si possono fare approfondimenti a livello regionale. Faccio un altro esempio. La formazione delle scuole di secondo grado o universitarie potrebbe tenere conto di quelle che sono le risorse regionali o locali. Qui a Taranto abbiamo la produzione dell’acciaio ma anche il turismo e l’agricoltura. Tre aree sulle quali la formazione potrebbe concentrarsi. Serve uno sguardo generale ma senza arrivare a ledere quelle che sono le basi dell’unità nazionale».

Roma perderebbe di peso visto che si prospetta il trasferimento di alcuni dicasteri?
«Roma è la nostra capitale. E’ un simbolo per tutti. Noi siamo dichiaratamente a favore dell’unità nazionale, ma se le regioni finiscono per diventare tante piccole nazioni e non più elementi legati alla fisionomia di un unico corpo, beh, si capisce bene che si sta avviando un processo avverso. Rischioso. Lo stesso vale per lo svuotamento delle sue funzioni. Verrebbe declassata la Capitale. Insomma il pericolo che vedo è la tenuta dell’insieme».

La strada pare segnata: il Nord contro il Sud?
«La riforma così com’è è un boccone avvelenato. Ritengo che la cosa dovrebbe essere studiata a fondo. Forse servirebbe, come ha detto il giurista Sabino Cassese, giudice emerito della Consulta, una commissione di studio nazionale con tutte le Regioni per garantire i servizi primari. La via d’uscita richiede più tempo».

Voi vescovi finora siete rimasti ad osservare...
«Sicuramente ne parleremo agli inizi di aprile, quando ci sarà il Consiglio Permanente».
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