Charlie, il Vaticano e Trump:
è corsa per aiutare il piccolo

Charlie, il Vaticano e Trump: è corsa per aiutare il piccolo
di Franca Giansoldati
Martedì 4 Luglio 2017, 09:27 - Ultimo agg. 12:49
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Charlie, l'angioletto di appena dieci mesi condannato a morte da una malattia genetica che non offre scampo, non sa di essere diventato, suo malgrado, il testimonial di una campagna planetaria pro-life. Il piccolo è ricoverato al Great Ormond Street Hospital di Londra, i cui medici sono pronti a staccargli la spina contro la volontà dei genitori. Più che una battaglia è una corsa contro il tempo per allungare un po', non tanto, forse solo qualche giorno, la vita del piccolo. In questa campagna scienza e fede misurano i rispettivi confini allargando i dilemmi umani: la morte naturale come si concilia con l'accanimento terapeutico? Da Roma, il Bambin Gesù, si è mosso tendendo provvidenzialmente la mano ai genitori: se vorranno, potranno trasferire il piccolo in uno dei «nostri reparti dove verrà assicurato al piccolo paziente l'accompagnamento necessario» fino al raggiungimento della fine naturale.

Persino il presidente americano Donald Trump, citando Papa Francesco, è sceso in campo con tutto il suo peso per offrire sostegno a Connie e Chris Gard. Ci sono state telefonate tra la Casa Bianca e Londra, contatti con la famiglia facilitati dal governo inglese. 

«Se possiamo aiutare il piccolo #CharlieGard saremmo felici di farlo ha twittato Trump. Subito dopo la premier britannica Theresa May, attraverso un suo portavoce, ha assicurato a sua volta vicinanza al bambino («Tutti i nostri pensieri sono con loro»). 

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