Natale, monsignor Bruno Forte: «Fate il presepe, ma attenti a stare insieme»

Natale, monsignor Bruno Forte: «Fate il presepe, ma attenti a stare insieme»
di Donatella Trotta
Martedì 24 Novembre 2020, 08:08 - Ultimo agg. 25 Novembre, 08:14
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È la festività cristiana più sentita dalle famiglie italiane: riverberata nel rito domestico del presepe che evoca la Natività di Gesù, attesa da adulti e bambini durante l'Avvento anche come occasione di riunione, celebrata dalla Chiesa nelle sue liturgie solenni in vigilia, in nocte, in aurora e in die, in questo 2020 la festa del Natale è insidiata da una pandemia che non guarda in faccia a niente e a nessuno. E in attesa del nuovo DPCM del 3 dicembre, che fisserà le disposizioni anti-coronavirus, come si sta attrezzando la Chiesa per far fronte ai bisogni (spirituali e materiali: in un Paese messo in ginocchio dall'acuirsi delle diseguaglianze economiche e sociali) del suo popolo? Ne parliamo con monsignor Bruno Forte, fine teologo napoletano e guida dell'Arcidiocesi di Chieti-Vasto, in un Abruzzo che - come la Campania - è zona rossa.


Monsignor Forte, come conciliare in questo Natale esigenze di salute e famiglia?
«Chi ama davvero qualcuno deve avere a cura il suo bene, e perciò deve agire con responsabilità quando ci sono fattori di rischio che possono attentare ad esso. Il CoViD è un terribile fattore di rischio: nemico invisibile ed insidioso, virus che si diffonde facilmente nell'aria e può raggiungere e colpire chiunque. Ecco perché le relazioni anche fra amici e congiunti devono essere in questo tempo di pandemia più che mai limitate all'assolutamente necessario e responsabili della salute propria e altrui. Diceva il pensatore francese Gabriel Marcel, uomo di fede profonda e molto attento alla carità verso gli altri: Amare qualcuno significa dirgli: Tu non morirai. Dire con la vita queste parole oggi significa anche misurare i contatti personali ed escludere il più possibile ogni benché minima occasione di possibile trasmissione del virus. Salute e famiglia si conciliano dunque pienamente nel segno degli affetti responsabilmente vissuti».

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Come si sta organizzando la Chiesa per aiutare le comunità a declinare il rispetto della tradizione coniugando il bisogno di riunirsi con le norme antiassembramento?
«Il messaggio su cui insistere è che Natale è la festa dell'amore di Dio mai stanco di ricominciare per noi e con noi. Ora, questa giovinezza di Dio nell'amore la ricordiamo con i segni liturgici, che possono essere vissuti con le dovute precauzioni, e con molti segni della tradizione, quali il presepe, l'albero, i doni, la convivialità. Di questi, alcuni potremo mantenerli, come in particolare il presepe, che ha nel cosiddetto presepe barocco napoletano esempi meravigliosi.

Per il resto bisognerà essere attenti a non creare occasioni di contatto che potrebbero essere rischiose, specialmente per i più avanti in età. Ci vorrà maggiore sobrietà nell'aspetto conviviale ed anche nello scambio dei doni: ma sarà un sacrificio fatto per amore, non certo per prendere le distanze dai propri cari».


Quali misure sta adottando la Chiesa in cammino come ospedale da campo (papa Francesco) per fronteggiare le nuove povertà e lenire le solitudini in aumento?
«Dappertutto le nostre Caritas si sono attivate per venire incontro alle tante richieste di aiuto alimentare: queste si sono moltiplicate enormemente e sono cambiati anche i richiedenti, fra cui oramai rientrano tante famiglie di persone che stavano bene e che sono state travolte dagli effetti della pandemia, come commercianti, piccoli imprenditori, artigiani, lavoratori in proprio... La Chiesa italiana ha stanziato risorse straordinarie per ogni diocesi (raddoppiando per ciascuna i contributi annuali a fini caritativi) per consentire di rispondere il più possibile alle richieste. Si tratta di un fiume in piena, che stiamo cercando di gestire al meglio».


Il premier Conte ha invitato a «prepararci ad un Natale più sobrio», ma non ha chiuso le porte all'economia incentivando gli acquisti di doni. Ma ai tempi dell'economy of Francesco non sarebbe il caso di ripensare l'eccesso di consumismo - che già prima del Covid stava snaturando il Natale cristiano vivendo la pandemia come opportunità di cambiamento in una direzione più equa, solidale e rispettosa dell'ambiente?
«Questa domanda tocca aspetti importanti del dopo CoViD. Nulla sarà come prima: in particolare, un grosso colpo è stato assestato a quella fiducia ingenua e perfino irrazionale nelle possibilità del progresso umano, perché si è visto come un nemico infinitamente piccolo e invisibile può distruggere colossi di potere economico, politico e sociale. Ma anche il delirio di onnipotenza cui ci stava portando il consumismo sfrenato specialmente nei Paesi del nord del mondo dovrà misurarsi con una nuova sobrietà, che ci renda tutti più attenti agli altri, nell'urgenza di una condivisione maggiore e più equa dei beni, nel rispetto dell'ambiente, tanto minacciato come dimostra il disastro climatico in corso, nella scelta di stili di vita molto più sobri e attenti al bene comune. Qualcosa di analogo l'Italia lo ha vissuto nell'immediato dopoguerra: si tratta di far rinascere quello spirito di umiltà, di condivisione, di sobrietà, di partecipazione attiva al bene comune, che trovò in figure emblematiche come Alcide De Gasperi o Konrad Adenauer modelli straordinari. Statisti che a pranzi ufficiali erano capaci di dividersi una mela, metà per ciascuno».
 

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