Padrini o madrine non dovrebbero limitarsi a fare le comparse e a dileguarsi dalla vita spirituale dei bambini subito dopo le cerimonie religiose. Piuttosto dovrebbero prendere per mano i piccoli e insegnare loro le tappe della fede. Dal battesimo, il più importante sacramento, all'accompagnamento per la prima comunione e, infine, la cresima.
È partita l'anno scorso da Sulmona, in Abruzzo, una riflessione importante che sta avanzando lentamente su tutto il territorio nazionale. E forse potrebbe anche allargarsi in tutta Italia. Chissà. La domanda cruciale che il vescovo Michele Fusco ha posto a tutti i parroci della sua diocesi è tutt'altro che marginale ai fini della crescita spirituale e della trasmissione cristiana: chi sono realmente coloro che portano in chiesa i neonati durante il rito del battesimo o accompagnano i ragazzini al momento della cresima?
Secondo il vescovo (ma non è l'unico) forse non è affatto sufficiente essere solo dei buoni amici di famiglia o anche dei parenti stretti se poi manca tutto il resto, e cioè l'impegno costante e convinto a seguire il bambino negli anni del catechismo, ad insegnargli le prime preghiere o semplicemente a parlargli della presenza di Dio.
Considerando la progressiva perdita della fede in un paese come l'Italia che si sta orientando sempre più su una realtà scristianizzata, forse è arrivato il momento di analizzare meglio queste figure non secondarie, il loro ruolo e soprattutto il peso che dovrebbero esercitare per la maturazione del «figlioccio».
Si tratta di un esperimento pilota che avrà una validità triennale e servirà a capire come procedere in futuro. Per il momento i contraccolpi tra i fedeli e le giovani coppie - da poco diventate mamme e papà - non ce ne sono stati tanti. Si sono registrate solo timide reazioni, a metà strada tra il perplesso e l'incuriosito poi tutto è finito lì. E questo sembra avvalorare la tesi del vescovo che punta a ridisegnare questo importante passaggio e dare, in futuro, una maggiore carica di responsabilità ai padrini e alle madrine.
In poco tempo alla diocesi di Sulmona se ne sono affiancate altre, quella di Pescara e poi un'altra in Calabria, due al Nord e, ultimo caso, a Catania. «Ad esigere la presenza dei padrini non è la celebrazione in quanto tale, ma la crescita nella fede del battezzando o del cresimando, per cui essi dovranno essere credenti solidi, capaci e pronti a sostenere nel cammino della vita cristiana. Il loro compito è una vera funzione ecclesiale» ha spiegato ai fedeli il vescovo Gristina. Poi citando a corredo il Catechismo ha sottolineato con rammarico che nell'attuale contesto «socio-ecclesiale la presenza dei padrini e delle madrine risulta spesso una sorta di adempimento formale o di consuetudine sociale, in cui rimane ben poco visibile la dimensione della fede». A questo aspetto si aggiunge spesso «la situazione familiare complessa e irregolare di tante persone proposte per assolvere questo compito: ciò rende la questione ancora più delicata».
In questi mesi al quartier generale della Cei non vi sono stati commenti di sorta a proposito di queste iniziative anche perché i vescovi, sul territorio di loro competenza, hanno l'autorità necessaria per firmare decreti del genere. Tutto il resto è discrezionale. Il Codice di diritto canonico indica solo la possibilità della presenza di madrine e padrini, ma non l'obbligatorietà. Tuttavia si precisano le qualità richieste per svolgere questo compito: avere «una vita conforme alla fede».
«A Sulmona abbiamo pensato di fare un esperimento. Da tempo nella prassi quotidiana accadeva che chi si presentava per fare il padrino o la madrina poi non partecipava mai alla vita spirituale del bambino, non lo seguiva al catechismo per esempio. Da qui è partita la nostra riflessione che ha aperto altre riflessioni. Una su tutte: queste figure che accompagnano i bambini ai primi sacramenti non possono essere estranee alla fede».