Le presidenziali argentine si sono trasformate in un ring, un terreno di offese e scontri mai visto sulla figura di Papa Francesco. In vista della prima tornata elettorale prevista per la fine di ottobre nella patria del primo pontefice argentino sono volate parole grosse soprattutto da uno dei candidati in corsa che ha accusato Bergoglio di interferire pesantemente nella politica interna, di essere un «asino», di portare avanti politiche ecclesiali «di m***a». Una violenza inusitata, frutto di un clima avvelenato e polarizzato andatosi a cristallizzare in questi anni dietro le quinte. E forse è proprio anche per questa ragione che finora il Pontefice argentino ha sempre declinato ogni invito a visitare la sua patria dove non mette piede dal febbraio 2013, quando prese l'aereo per Roma per partecipare al conclave dopo le dimissioni di Benedetto XVI.
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Ad aver fatto esplodere il caso è stato Javier Milei, un economista di 52 anni che si presenta come candidato antisistema, con accenti a volte libertari a volte di estrema destra.
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Proprio ieri un gruppo di parroci dei quartieri popolari e nelle baraccopoli di Buenos Aires hanno concelebrato una messa a sostegno a Papa Francesco, per "riparare agli oltraggi" che lo hanno preso di mira nella campagna elettorale. Solo un migliaio di persone hanno partecipato alla messa nella bidonville numero 21-24, situata a sud della capitale. C'erano anche tanti sindacalisti e alcuni ministri del governo di centro sinistra e il premio Nobel per la pace e amico di Bergoglio, Adolfo Perez Esquivel. La messa che aveva l'imprimatur del vescovo di Buenos Aires è servita per pregare per la Chiesa e l'amore per il prossimo.
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Nel frattempo altre polemiche si stanno facendo largo perchè, nel tam tam elettorale, sembra che il candidato preferito da Papa Francesco sia il suo amico Juan Grabois, un avvocato fondatore del Movimento dei lavoratori (MTE) e attuale membro del dicastero per il Servizio Umano Integrale in Vaticano.
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