Papa Francesco: «Il viaggio a Kiev? Tutto per fermare una guerra ingiusta»

Papa Francesco: «Il viaggio a Kiev? Tutto per fermare una guerra ingiusta»
Papa Francesco: «Il viaggio a Kiev? Tutto per fermare una guerra ingiusta»​
di Franca Giansoldati
Lunedì 4 Aprile 2022, 07:00 - Ultimo agg. 11:08
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«Tutti siamo colpevoli. Che Dio abbia pietà di noi. Di tutti noi». Papa Francesco è scioccato dalle notizie che gli vengono comunicate su Bucha, e nella conferenza stampa in volo, tornando da Malta, racconta ai giornalisti che nonostante il suo rapporto personale con Putin, in tutto questo mese di conflitto, non ha mai avuto occasione di parlare personalmente con lui, l’ultima volta è stato a dicembre. Da allora più nulla. Quanto al progetto di un viaggio a Kiev ripete di essere disponibile ad affrontare la trasferta per abbracciare il popolo ucraino ma poi si interroga se sia davvero una mossa «conveniente». 

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In questi giorni lei ha dovuto usare l’ascensore, la abbiamo vista affaticata: come sta la sua salute?
«È un po’ capricciosa.

Ho questo problema al ginocchio che mi limita la deambulazione. Adesso va migliorando, almeno posso camminare mentre due settimane fa non potevo. A questa età non si sa come andrà a finire la partita».

Pensa sia un viaggio fattibile quello di Kiev?
«Non conoscevo le notizie provenienti da Bucha, grazie per avermele dette. La guerra è una crudeltà, inumana, va contro lo spirito umano. Come ho già detto sono disposto a fare tutto quello che si potrà fare. La Santa Sede fa la sua parte diplomatica. Il cardinale Parolin, monsignor Gallagher stanno facendo di tutto. Non si può pubblicare tutto quello che fanno per prudenza, ma siamo al limite del lavoro. Tra le varie cose c’è questo viaggio. Ci sono due possibilità. Il cardinale Krajewski, che è già stato due volte a portare aiuti agli ucraini in Polonia potrebbe andare una terza volta. E lo farà. L’altra possibilità è Kiev. Io avevo in mente di andarci. Dico con sincerità che la disponibilità c’è sempre. Non c’è il no. Sono disponibile. È sul tavolo. È una delle proposte ma non so se si potrà fare, e se sarà conveniente farlo. È nell’aria tutto questo. Da tempo ho pensato anche a un incontro con il patriarca Kirill. Si sta lavorando per realizzarlo, si pensa di farlo in Medio Oriente».

Lei dall’inizio della guerra ha parlato con Putin? 
«Il presidente della Russia mi ha chiamato a fine anno per farmi gli auguri. Il presidente ucraino l’ho sentito due volte. E ho pensato il primo giorno della guerra che dovevo andare all’ambasciata russa presso la Santa Sede per parlare con l’ambasciatore che rappresenta il popolo, fargli domande e dirgli le mie impressioni. Questi sono i contatti ufficiali. Ho sentito l’arcivescovo maggiore di Kiev e poi ho sentito ogni due giorni la giornalista Elisabetta Piquet che adesso è a Odessa. Mi dice come stanno le cose. Ho parlato col rettore del seminario. In proposito vorrei darvi le condoglianze per i vostri colleghi che sono caduti siano dalla parte che siano. Il vostro lavoro è per il bene comune e sono caduti al servizio del bene comune. Non dimentichiamoli. Sono stati coraggiosi e io prego per loro perché il Signore dia loro il premio per il lavoro».

Cosa direbbe a Putin se ne avesse la possibilità?
«Il messaggio che ho dato a tutte le autorità, quello che dico pubblicamente. Non ho un doppio linguaggio, è sempre lo stesso. Guerre giuste o ingiuste? Ogni guerra nasce da una ingiustizia, sempre. Perché così è lo schema di guerra, mentre non c’è quello di pace. Per esempio: fai l’investimento per comprare le armi, “ne abbiamo bisogno per difenderci”, e questo è lo schema di guerra. Finita la seconda guerra mondiale si diceva “mai più”, anche pensando a Hiroshima, ed è cominciata la volontà di lavorare assieme per la pace. Sono passati quasi ottant’anni, e l’abbiamo dimenticato. Lo schema della guerra si impone, si è imposto un’altra volta. E noi non possiamo pensare un altro schema, perché non siamo abituati a pensare nello schema della pace. Ci sono stati dei grandi che hanno pensato nello schema della pace. Ma noi siamo testardi, eh? Siamo innamorati delle guerre. Lo spirito di Caino». 

Lei parla spesso dello spirito di Caino... 
«Quando sono andato nel 2014 a Redipuglia e ho visto tutti quei nomi, ho pianto con amarezza. Uno o due anni dopo, era il giorno dei defunti, sono andato a pregare ad Anzio. Ho visto i ragazzi caduti, c’erano tanti altri nomi. Tutti giovani, e anche lì ho pianto. Bisogna piangere sulle tombe. Quando c’è stata la commemorazione dello sbarco in Normandia, i capi di governo si sono riuniti per commemorare, ma non ricordo che qualcuno abbia parlato dei 30mila soldati giovani che sono rimasti sulle spiagge. Si aprivano le barche, uscivano ed erano mitragliati. La gioventù non importa. Questo mi fa pensare, mi fa dolore. Non impariamo. Il Signore abbia pietà di noi, di tutti noi. Siamo tutti colpevoli».

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