Lo slang di Papa Francesco: una rivoluzione in Vaticano

Lo slang di Papa Francesco: una rivoluzione in Vaticano
di Franca Giansoldati
Domenica 22 Settembre 2013, 17:52
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Il Pontefice rivoluziona la comunicazione della fede e per arrivare alle famose pecorelle scappate dall’ovile usa parole semplici termini nuovi, idiomi stranieri e persino colorite frasi del lunfardo, dialetto ispanico del porto di Buenos Aires. Con ironia e fantasia Lo slang di Papa Francesco



L’effetto del Bergoglio style si moltiplica: la riluttanza del Papa argentino a servirsi di auto di lusso, croci d’oro e altri simboli del potere, sta contagiando anche il linguaggio. Piano piano nella Chiesa si sta facendo strada il Bergoglio slang, un nuovo modo di comunicare la fede, per raggiungere il target numero uno, le famose pecore scappate dall’ovile, attraverso frasi ad effetto, slogan, parole ispaniche tradotte liberamente.



Non che il Papa si sia messo a parlare come uno scaricatore di porto, ma alcuni termini che ha usato recentemente li ha attinti proprio da questo colorito dialetto. Più comunicativi, più efficaci, più diretti. Come il verbo «balconear» che in “lunfo” significa non stare alla finestra a guardare, tipico di colui che nutre curiosità ma senza volersi immischiare troppo, come uno spettatore che sosta al balcone. Papa Francesco si è rivolto così ai giovani chiedendo loro di «non balconear», ma al contrario di tuffarsi negli eventi, come ha fatto Gesù. Il messaggio pensato per i ragazzi ha spopolato sul web, creando interesse attorno ad un tema spirituale molto sentito, la partecipazione alla vita cristiana, cosa non del tutto scontata di questi tempi segnati dalla secolarizzazione e dall’indifferenza. Si è poi raccomandato di «fare ruido», «fare casino».



IL FINE

Ma è su quel «balconear» che conviene soffermarsi per capire come il Papa argentino voglia sfruttare ogni opportunità linguistica nel tentativo di scuotere dal torpore i cristiani per fare in modo che non vivano la propria vita fuori dalla vita degli altri e del mondo intero. Un po’ come dire che chi crede deve sporcarsi le mani, solo che dirlo in quel modo è un messaggio più efficace. Bergoglio pur essendo dotato di una cultura sterminata quando parla a volte appare quasi un maestro elementare, capace di concetti difficili con esempi quotidiani terra terra. E così a quei preti autoreferenziali che tendono a concentrarsi troppo sulla propria realtà parrocchiale senza avere il coraggio di uscire davvero «dal recinto», ha chiesto di non perdere troppo tempo «a mettere i bigodini alle pecore». Un'altra frase che ha fatto il giro del mondo e che rende bene l’idea del bisogno di dare un nuovo impulso alla missionarietà.



L’EFFETTO

Il Bergoglio slang è quasi sempre frutto di interventi estemporanei, magari fatti a margine di un testo scritto che Francesco ad un tratto mette da parte per andare a braccio. L’effetto è palpabile, perché anche l’ecclesialese più astruso e complicato, viene reso digeribile. Difficile sentirgli dire: «momento omiletico» o «omileta», semmai utilizza le parole più dirette di predica e predicatore. È uno che gioca con i concetti, rincorrendo pensieri e programmi. A San Giovanni in Laterano, affrontando la plenaria dei parroci romani, davanti ad uno sbigottito cardinale Vallini, Francesco invitava a rimboccarsi le maniche per andare incontro alle coppie di fatto e ai divorziati risposati, e concludeva con una battuta: «Oggi non siamo mica nel Medio Evo eh? Siamo nel 2013». La dottrina non cambia, semmai cambia il modo di farla percepire ad un contesto sociale profondamente mutato che richiede alla Chiesa un cambiamento anche lessicale.



IL BUONUMORE

Il meglio del Bergoglio slang è stato nel corso delle messe mattutine nella cappella di Santa Marta. Per un certo periodo si era fissato sulla scarsa attitudine dei cristiani al buonumore nonostante il dono della fede che dovrebbe invece apportare gioia. «Non è mica possibile annunciare il Vangelo con quelle facce triste e funebri». Un’altra volta si è lamentato per «le facce di certi cristiani da peperoncino acido». Sull’acidità del carattere è andato giù duro con le suore, le segretarie parrocchiali (che a causa dell’asprezza respingono quei giovani che bussano alla porta per avere informazioni sul matrimonio) e certi frati.



Li ha chiamati zitelloni.
Le suore invece diventano zitelle se abbandonano l’attitudine ad essere «madri» con il cuore, abbracciando chiunque, senza riserve. Il Bergoglio slang è un mix di ironia e fantasia. «Un gesuita deve essere creativo». Non disdegna né slogan né parole straniere: «Non possiamo essere cristiani part time»; «Non esiste un cristianesimo low cost». E ancora. «La fede non è mica un frullato banana e mela». Probabilmente tanta ricchezza espositiva è il frutto delle sue conversazioni con la gente. Fa decine e decine di telefonate al giorno, agli amici in Argentina, a chi gli scrive, ai collaboratori. «Risparmio tanto sul vitto e l’alloggio, ma poi scialo sulle bollette telefoniche». L’ironia non gli manca.
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