Ucraina, l'arcivescovo Salvatore Pennacchio: «È un orrore già vissuto in Polonia, torna la paura»

Ucraina, l'arcivescovo Salvatore Pennacchio: «È un orrore già vissuto in Polonia, torna la paura»
di Angelo Scelzo
Mercoledì 30 Marzo 2022, 10:55 - Ultimo agg. 13:44
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Il mondo l'ha girato in lungo e in largo, anche ben oltre la media dei nunzi, gli ambasciatori del papa, con la valigia (diplomatica) sempre pronta. Quando è arrivato a Varsavia, 6 anni fa, ponendosi nella linea di successione di Achille Ratti, il futuro Pio XI, veniva da altri 6 anni trascorsi in India e da una più lunga permanenza, come Nunzio o delegato apostolico, nella vastissima area tra Cambogia, Singapore e Thailandia e poi Brunei, Laos, Malesia e Birmania. Ma all'arcivescovo Salvatore Pennacchio, napoletano, 70 anni ancora da compiere, l'immagine che ora resta più impressa è quella di un altro napoletano, il vescovo Giuseppe Mazzafaro arrivato nella capitale polacca per portare l'aiuto concreto di una raccolta fondi della piccola diocesi di Cerreto Sannita in favore dei profughi e dei rifugiati dell'Ucraina. «È il tempo di una solidarietà senza sosta. Decine di chilometri oltre c'è uno spaventoso teatro di guerra. Siamo nel cuore dell'Europa e nella terra che porta i segni della testimonianza di San Giovanni Paolo II. Una terra ricca di storia che sta riguadagnando ora un suo grande ruolo mettendo in campo uno straordinario impegno negli aiuti e nella condivisione verso fratelli che soffrono». 

È tempo anche di mediazioni e negoziati, il lavoro che impegna la diplomazia del Papa. Quale spazio esiste per un dialogo di pace?
«Tutti gli spazi capaci di portare il più presto possibile a un cessate il fuoco, a fare il modo che le armi tacciano e tacciano per sempre.

Non esistono vie diplomatiche in astratto. Esiste la via che ancora domenica scorsa, dalla finestra dell'Angelus ha indicato il Papa. Ripudiare la guerra, prendere atto che si tratta di una sconfitta per tutti, e del luogo di morte dove i padri e le madri seppelliscono i figli; dove i potenti decidono e i poveri muoiono. Non poteva essere più chiaro e lungimirante papa Francesco quando ha ammonito che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell'uomo, prima che sia lei a cancellare l'uomo dalla storia». 

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Monsignor Pennacchio è appena rientrato per qualche giorno a Roma. Lo attende domani un'udienza dal Papa, dopo che Francesco ha già visto lunedì il presidente della conferenza episcopale, l'arcivescovo Stanislaw Gadecki e venerdì si appresta a ricevere il presidente della Repubblica Andrzej Duda, fresco reduce dell'incontro con il capo della Casa Bianca, Joe Biden in visita a Varsavia. Polonia quindi ancora in primo piano, come sempre è accaduto quando il quadrante della storia si è orientato in direzione dell'Europa centrale. Si può capire come Varsavia sia in questo tempo un crocevia essenziale nel lavoro diplomatico che la Santa Sede porta avanti alla ricerca di soluzioni negoziali della crisi. Ma un nunzio è prima di tutto un pastore d'anime, chiamato spesso a operare in terra di missione; e il profilo di mons. Pennacchio è più che mai quello di un sacerdote che non esita a rimboccarsi le maniche e, come ha fatto nelle visite a molte parrocchie e centri di aiuto della città, ad affiancarsi ai volontari della catena dei soccorsi. Come ulteriore credenziale, non solo diplomatica, il nunzio napoletano può esibire un visto tutto speciale per trovarsi ancora più a suo agio nel paese della sua undicesima destinazione, in 43 anni di servizio, iniziato a Panama e proseguito in Etiopia, Australia, Jugoslavia, Turchia, Egitto e Irlanda. È il motto episcopale, «Nolite temere» traduzione, e consegna che deriva da quel grido - «Non abbiate paura» - con il quale il primo Papa polacco della storia aprì il suo lungo pontificato.

«Di Papa Wojtyla mi sento più che mai, da quando sono nella sua terra, figlio spirituale. Fu lui nel giorno dell'Epifania del 1999 a consacrarmi vescovo in San Pietro. Questa che oggi è terra di confine di un'altra assurda guerra, mostra invece la vocazione opposta di terra di pace». 

Come vive la Polonia, e in particolare Varsavia, questo conflitto alle porte di casa?
«Le strade e le piazze della capitale portano i segni di un esodo amaro e forzato. In tutta la Polonia hanno trovato rifugio già oltre due milioni di persone. Ma a Varsavia è come se alla popolazione esistente si fosse aggiunta quella di un'altra grande città di quattrocentomila abitanti. Occorre avere cuore ed empatia, ma per essere all'altezza di un compito così immane, sono necessaria anche risorse - e mezzi - organizzativi non comuni. È terribile che sia la guerra, e non una prospettiva di sviluppo, a mobilitare energie di questa portata».

In tanti anni in giro per il mondo, monsignor Pennacchio, fine diplomatico ma pronto a rimboccarsi le maniche, poliglotta, (ma con il napoletano pronto all'occorrenza) si è imbattuto in un vasto scenario di drammi e tragedie. Quando ha lasciato il Nepal, nella cerimonia di congedo c'è stato un grazie commosso e unanime da parte di cattolici e non, per l'aiuto e l'assistenza prestate in occasione del devastante terremoto del 2015 che causò migliaia di morti e la distruzione di interi villaggi.

La guerra non può però essere attribuita alla natura. C'è paura in Polonia che dall'Ucraina possa varcare il confine?
«Lei mi chiede se c'è paura anche qui. La guerra è nel cuore dell'Europa e tutti, in modo diverso, la sentono vicina, avvertono uno sconcerto mai provato, per chi ha vissuto quel tempo, dalla Seconda guerra mondiale. Nella preghiera di consacrazione al Cuore Immacolato di Maria che il papa ha pronunciato in San Pietro, c'è una strofa in cui si prende atto di aver smarrito la via della pace e dimenticato la lezione delle tragedie del secolo scorso. La tragedia è tutta qui. E il senso poetico della preghiera ha tenuto lontano anche la deriva di un vuoto irenismo. Si può pregare alzando gli occhi al cielo ma mantenendo i piedi per terra. È in fondo il compito che tocca in particolare anche a tutti noi chiamati a operare, con il Vangelo nella mano e nel cuore, nel delicato campo della diplomazia».

Anche in diplomazia le cose si chiamano per nome. Nella ricerca della pace, tanto più come in questo momento, esistono poche scorciatoie. E per un nunzio del papa, nessuna forma di rassegnazione.

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