Vaticano, la memoria del beato Stepinac continua a dividere: santo o un collaborazionista degli ustascia?

Vaticano, la memoria del beato Stepinac continua a dividere: santo o un collaborazionista degli ustascia?
di Franca Giansoldati
Mercoledì 13 Luglio 2016, 14:31 - Ultimo agg. 14 Luglio, 13:40
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Città del Vaticano La Memoria non sempre è uguale per tutti. Per esempio quella relativa al cardinale croato Stepinac (1898-1960), beato per la Chiesa cattolica, collaborazionista con gli ustascia per la Chiesa ortodossa. Il dilemma storico si trascina da tempo e costituisce una pietra di inciampo per le relazioni ecumeniche tra Roma e Belgrado. Per arrivare ad una Memoria condivisa occorre dipanare la questione: fu un martire, capace di far fronte prima ai nazisti e poi alle persecuzioni dei comunisti, oppure un voltagabbana che durante la seconda guerra mondiale fu tiepido nel denunciare la barbarie degli ustascia, sotto il regime di Ante Pavelic, alleato di Hitler?

Per risolvere la questione Papa Francesco, d'accordo con il patriarca serbo Ireneo ha istituito una commissione storica che si è riunita proprio in questi giorni a Roma. La prossima riunione si terrà a Zagabria in autunno. La Chiesa croata spinge per la canonizzazione di Stepinac, ma il Papa prima di procedere in questa direzione, aspetta un esito comune. Intanto il dibattito su questa figura procede e continua a dividere, nonostante Giovanni Paolo II lo abbia beatificato tra mille polemiche.

Quando, a suo tempo, Giovanni Paolo II lo portò agli altari, diversi giornali serbi accusarono il Papa d’aver beatificato un criminale di guerra. Ancora esiste una pubblicistica che accusa il prelato d’esser stato un sostenitore della politica degli ustascia e di aver taciuto la loro pulizia etnica . Dagli archivi disponibili – e scandagliati a fondo prima della beatificazione – risulta che la figura di Stepinac fu coperta in seguito, dal regime di Tito, di mille menzogne.

Gli ustascia quando iniziarono a sterminare ebrei, zingari e anche serbi ortodossi, il Vaticano (e anche Stepinac) iniziò ad esercitare forti pressioni diplomatiche, preferendo lavorare dietro le quinte per salvare più persone possibili, ma evitando di andare allo scontro diretto. La Santa Sede era cosciente che il partito ustascia era diviso fra i favorevoli all’influenza tedesca e quanti preferivano un’influenza italiana, dunque ogni intervento esplicito nelle vicende croate avrebbe rischiato di rafforzare le tendenze filonaziste, pregiudicando così la posizione della Chiesa all’interno del paese. L’atteggiamento dell’episcopato jugoslavo fu vario: ci fu chi approvò le persecuzioni etniche, come il vescovo Ivan Saric e chi invece condannò i massacri come ad esempio il vescovo di Mostar, Alojizie Misic. 

Nel maggio del 1941 l’arcivescovo Stepinac criticò le leggi razziali e si batté affinché ai deportati fosse concessa un’adeguata assistenza medica e potessero tenere i contatti con i famigliari. Vedendo inoltre che la conversione al cattolicesimo poteva significare per molti serbi ed ebrei la salvezza, diede disposizioni al clero di battezzare chiunque su richiesta senza il consueto periodo di prova e di preparazione: «Quando persone di confessione ebraica o ortodossa in pericolo di vita, desiderosi di convertirsi al cattolicesimo, si presentano davanti a voi, accoglietele allo scopo di salvare loro la vita (…) Quando questi tempi barbari e tristi saranno passati coloro che si sono convertiti per fede resteranno nella nostra Chiesa, mentre gli altri ritorneranno alla loro quando sarà passato il pericolo». Poi prese sotto la sua protezione degli ebrei  nascondendoli nella tenuta vescovile di Brezovica, organizzò il trasporto di decine di bambini verso la Turchia, procurò cibo, vestiario, passaporti ad altri e tentò di convincere il ministro d’Italia in Croazia, Raffaele Casertano, ad accogliere dei giovani ebrei. Stepinac giunse persino a denunciare pubblicamente l’Olocausto: «Tutte le razze e tutte le nazioni sono state create a immagine di Dio (…) Non è lecito sterminare zingari ed ebrei perché apparterebbero a razze inferiori. Se si accettassero i principi nazisti, che sono senza fondamento, ci sarebbe ancora qualche sicurezza per un qualche popolo della terra?» come dichiarò il 25 ottobre 1942 nella cattedrale di Zagabria. Gli interventi della Chiesa per salvare gli ebrei croati ottennero però infine pochi risultati, ma furono più che sufficienti per fare infuriare i nazisti. I tedeschi non esitarono anche a compiere delle rappresaglie nei confronti dell’arcivescovo per le sue dichiarazioni a favore degli ebrei come nel 1943, dove in seguito a dei sermoni contro il razzismo e l’uccisione di ostaggi, i nazisti arrestarono più di trenta sacerdoti. 

Il 14 maggio 1941 Stepinac protestò anche contro l’eccidio di 260 serbi a Glina scrivendo a Pavelic: «Io so bene che i serbi hanno commesso gravi misfatti in questi venti anni di governo. Credo però mio dovere di vescovo di alzare la voce e dichiarare che questo non è ammissibile secondo la morale cattolica; quindi, vi prego di prendere le misure più urgenti in tutto il territorio dello stato croato indipendente, affinché non venga ucciso nemmeno un serbo se non sia dimostrato il delitto per il quale merita la morte”.

L’atteggiamento di Stepinac verso gli ustascia è ancora oggetto di discussioni: da un lato pare che abbia posto fiducia in uno stato che si rilevò invece essere criminale, anche se confidò nel 1942 di non avere rotto pubblicamente con il regime perché in questo modo aveva aiutato più facilmente i perseguitati restando al suo posto. Gli stessi ustascia avevano verso l’arcivescovo un atteggiamento ambivalente. Le critiche a Stepinac aumentarono al punto che il regime vietò di pubblicare le sue omelie, anche se venivano puntualmente diffuse dai partigiani e da Radio Londra. Forse è per questo motivo che gli ustascia e i tedeschi lo accusarono d’essere un collaboratore dei comunisti anche se Stepinac, in una protesta contro i nazionalisti, fece notare che: “Il governo croato dovrà assumersi la piena responsabilità per la crescita dei partigiani comunisti a causa delle misure inaccettabili nei confronti dei serbo ortodossi, degli ebrei e degli zingari a imitazione di quanto fanno i tedeschi”. Una volta finita la guerra, nel 1951 Tito trasferì l’arcivescovo croato dalle carceri di Lepoglava al domicilio coatto presso la sua parrocchia di origine di di Krasich, impedendogli comunque di riprendere possesso della sua diocesi. Quando Pio XII lo nominò cardinale, Tito ruppe le relazioni con la Santa Sede. Stepinac morirà nel 1960 a causa di una malattia contratta in carcere, ma esiste la testimonianza di un carceriere che afferma d’averlo avvelenato.

La Commissione che si è riunita in questi giorni è incaricata di svolgere un lavoro scientifico, seguendo la metodologia delle scienze storiche, basata sulla documentazione a disposizione e la sua contestualizzazione. Si prevede una serie di incontri che dovrebbero concludersi nell’arco di 12 mesi.
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