Suor Pat e il coronavirus, l'esperienza al centro Covid del Santa Lucia

Suor Pat e il coronavirus, l'esperienza al centro Covid del Santa Lucia
di Sabrina Vecchi
Sabato 13 Giugno 2020, 00:35
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RIETI - Maledetta primavera. E’ con la stagione che te la prendi, se è fine marzo e tosse, lacrime e starnuti non ti danno tregua. L’aveva interpretata così anche suor Patrizia Cimmino, prima che l’apocalisse arrivasse sull’istituto Santa Lucia. Napoletana verace, quarantanove anni, la francescana di Santa Filippa Mareri è a Rieti dal 2008, e per tutti è la “suor Pat” della scuola dell’infanzia Maraini. Quella del monopattino, delle recite, dei balletti, sempre in prima linea per il divertimento dei più piccoli. Eppure, anche per un tipo tanto energico, le forze iniziano a mancare. 

La storia. «E’ precipitato tutto velocemente. Si sono ammalate le anziane, poi ho avuto febbre, affanno, stanchezza, non riuscivo a concentrarmi, avevo perso gusto e olfatto. Sono iniziati i test e mi hanno detto di non uscire dalla camera». La casa di riposo è completamente infestata dal Covid-19, la Asl prende in carico la struttura, iniziano i mesi in cui la città si stringe nella preoccupazione. «Lo abbiamo sentito. Eravamo isolate eppure sentivamo la vicinanza: il grande affetto delle persone, la preghiera e la fede nel Signore ci hanno dato la forza». Suor Patrizia ripercorre quei giorni, spesso si interrompe per prendersi qualche momento. «Te la porti dentro. Che tu sia un consacrato o no, sono esperienze che ti segnano, e io l’ho vissuta nella maniera più umana che potevo. L’ho nascosto a mia madre, anziana e rimasta sola a Napoli. Lo sapevano solo i miei fratelli, per cui la sera la sentivo e facevo finta di star bene». 

L'incubo. Le giornate passano tra preghiera e pasti solitari, con le visite di sanitari “mascherati” che riconosci solo dal nome scritto sulla tuta. «Angeli custodi. Dobbiamo ringraziare tutti, dal primo all’ultimo, ci hanno custodite, supportate, anche nei momenti più brutti». Come quando se ne va suor Anastasia. «Era nella camera accanto, mi diceva sempre che vicino a me si sentiva sicura, un colpetto al muro e sarei arrivata. L’abbiamo vista sempre più stanca, con gli occhi spenti. Quando ci siamo accorte che balbettava e non si reggeva in piedi abbiamo chiamato il 118 e l’hanno portata in ospedale: è stata l’ultima volta che l’abbiamo vista. Se n’è andata senza di noi, tutta sola». 
Un film in bianco e nero che «non sai come finirà», scandito dalla preghiera e dal Rosario delle 21 in streaming dalla Cattedrale, «una città intera dietro lo schermo che pregava con noi, e anche per noi». I gesti che infondono coraggio non mancano, e sono belli, belli veri: «Quanto amore».

Arrivano i pensieri dei genitori e delle insegnanti, i doni e i biglietti, la vicinanza costante delle altre suore e del vescovo Domenico, «un padre, un pastore, un fratello maggiore», e quella sorpresa straordinariamente genuina del giorno di Pasqua, con i frati cappuccini di Leonessa che inviano il pranzo a base di lasagna, abbacchio e cioccolata. «C’è stata la mano di Dio, l’ho sentita, era lì a sostenermi insieme ai miei bambini, il dono più grande. Io mi sono occupata di loro e loro hanno ricambiato occupandosi di me, con i loro disegni, i colori, i messaggi. “Forza Napoli, Pat!”, mi scrivevano conoscendo la mia fede calcistica. Mi hanno dato tanta forza». 

La fine del tunnel. E’ maggio quando arriva il tampone definitivo, quello della guarigione. Si va nel convento di Borgo San Pietro, e per quel saluto il giardino di Santa Lucia si riempie di sorrisi e braccia alzate. Lo stesso giardino che è stato teatro di uno dei momenti più difficili da dimenticare, la sanificazione di una salma, con la barella poggiata sulla serranda del garage: «Una scena che mi ha toccata profondamente. Vogliate bene alle persone, dimostratelo». Ora si cerca di tornare alla vita di sempre, pian piano. «Mi porto nel cuore tutto e tutti. E ricordo bene uno tra i tanti messaggi, arrivato sul mio telefono in una delle sere in cui stavo più male: “Ce la faremo, sicuro.

Tu stai con me, io non ti mollo”. Scrivilo, per favore». Lo scrivo, suor Pat. E forza Napoli.

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