Crollo nel sisma del don Minozzi di Amatrice: il pm chiede il processo per i due imputati

Gli interventi ad Amatrice dopo il terremoto del 2016
Gli interventi ad Amatrice dopo il terremoto del 2016
di Emanuele Faraone
Giovedì 21 Aprile 2022, 00:10
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RIETI - Richieste di rinvio a giudizio per i due imputati nel processo per il crollo dell’Istituto “Opera pia padre Giovanni Minozzi” di Amatrice dove - sotto le macerie, la notte del sisma del 24 agosto 2016 - persero la vita sette persone, tre suore e quattro ospiti della struttura. Partita ieri l’udienza preliminare davanti al Gup del tribunale di Rieti, Riccardo Porro, con le richieste di rinvio a giudizio formulate dai pm Edoardo Capizzi e Luana Bennetti contestualmente alla costituzione delle parti civili (prossimi congiunti delle vittime) rappresentate dagli avvocati Wania Della Vigna e Guido Felice De Luca, che hanno anche avanzato richiesta di citazione in giudizio del responsabile civile, l’Opera nazionale per il Mezzogiorno d’Italia, quale ente proprietario dell’edificio crollato e responsabile, in qualità di committente dei lavori ai quali la struttura era stata sottoposta in epoca precedente al sisma dell’agosto 2016. Richiesta rispetto alla quale il Gup Porro si è riservato di decidere.

I passaggi. Una lunga digressione quella della pm Bennetti che, in particolare, si è soffermata sulla posizione del progettista e direttore dei lavori Ivo Carloni (difeso di fiducia dall’avvocato Emanuele Vespaziani) a partire dal crollo dell’edificio religioso. «Dopo il sisma dell’Aquila del 2009, dietro richiesta di verifica di stabilità strutturale del plesso, era stato interdetto l’accesso all’intero secondo piano – ha ricordato la pm – tanto che si arrivò, nel maggio del 2009, a un’ordinanza del sindaco Fedeli per la chiusura della chiesa del Santissimo Crocifisso e del secondo piano».

L’Opera nazionale commissionò poi a Carloni il progetto per la rimozione delle condizioni di criticità: «Lavori rapidi, inadeguati e insufficienti - ha proseguito la pm Bennetti - durati complessivamente meno di 16 giorni e che portarono poi, previo sopralluogo tecnico, alla conferma dell’eliminazione delle condizioni iniziali di pericolo. Al contrario l’esito delle consulenze tecniche hanno rilevato una tipologia di lavori inadeguata. A Carloni spettava il compito di verificare, non furono inoltre effettuate le prescritte verifiche di legge andando così a mancare nella valutazione della vulnerabilità sismica dell’edificio». Poi ancora contestazioni e addebiti della procura su presunte responsabilità nella tempistica dei lavori non congrua a garantire la sicurezza degli ospiti nonché la presunta falsa dichiarazione relativa all’attestato di collaudo in cui si sarebbe dichiarata la conformità delle opere realizzate (reato prescritto). Poi le conclusioni del pm Capizzi rispetto all’imputata Virna Chiaretti (assistita dal legale Mariella Cari) caposettore uffico tecnico: «Gli imputati erano a conoscenza della criticità del quadro strutturale del complesso monastico. La stessa ordinanza raccontava delle problematiche presenti e rappresentava un allert. La revoca dell’ordinanza avvenne senza istruttoria né verifiche». Per il pm si sarebbe trattato, in sostanza, di una sequela di comportamenti «difficilmente giustificabili, tanto nella tempistica quanto nella loro fattualità contestando alla Chiaretti una presunta condotta negligente in quanto a conoscenza di quell’ordinanza al cui sopralluogo, per la sua successiva emanazione, aveva anche partecipato». In aula i familiari delle vittime che chiedono giustizia: «Vorremmo tempi certi e verità su quel crollo. Da quanto abbiamo appena sentito in aula potremmo dire: cronaca di una morta annunciata. Per noi ora è importante conoscere la verità».

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