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Amatrice, crollo in piazza Sagnotti nel sisma: il silenzio dei familiari delle vittime dopo la sentenza con 5 assoluzioni

Piazza Sagnotti dopo il terremoto
Piazza Sagnotti dopo il terremoto
di Emanuele Faraone
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 3 Ottobre 2022, 00:10
3 Minuti di Lettura

RIETI - Silenzio e rispetto, sempre. È stata questa la linea portata avanti durante i due anni del processo relativo al crollo della palazzina ex Ina Casa di piazza Augusto Sagnotti I, ad Amatrice, dai familiari delle vittime. E così è stato anche dopo la lettura - da parte del giudice monocratico del tribunale penale di Rieti, Carlo Sabatini - del dispositivo di sentenza, che ha visto l’assoluzione di tutti i cinque imputati, Sergio Pirozzi, Ivo Carloni, Maurizio Scacchi, Giovanni Conti e Valerio Lucarelli. In quel tragico crollo - la notte del sisma del centro Italia del 24 agosto 2016 - persero la vita, sepolte dalle macerie, sette persone.

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Le reazioni. Secco e lapidario, a margine della sentenza, il commento dell’avvocatessa abruzzese di parte civile, Wania della Vigna, in linea con la volontà dei familiari: «Prendiamo atto di questa sentenza e la rispettiamo come prima cosa, poi tra novanta giorni leggeremo le motivazioni per valutare il convincimento del giudice e le tesi che sono alla base delle cinque assoluzioni». Lontani da microfoni, telecamere e giornalisti, i familiari delle vittime che erano presenti in aula al momento della lettura. Una scelta di raccoglimento e dolore adottata già all’inizio delle prime battute processuali, nel rispetto di quelle sette vittime, la cui morte aveva per sempre cambiato la loro vita. Un solo commento, al Corriere della Sera, era trapelato da Mario Sanna, presidente di una delle associazioni delle vittime del sisma, “Il sorriso di Filippo”, che quella notte perse il figlio di 21 anni, in un altro dei crolli che uccisero 299 persone in totale tra Amatrice e Accumoli: «Per noi questa è stata l’ennesima umiliazione. Devo pensare che secondo i giudici il palazzo è crollato per colpa della natura, ma ci sono i documenti che dicono che le case non erano a norma e c’è chi aveva dato il via libera per rientrarvi. I familiari delle sette persone morte non li ho sentiti, perché non riusciremmo a parlare e ci scambieremmo solo lacrime». Per la Procura di Rieti, a provocare quel crollo, alle 3.36 del 24 agosto 2016, non era stata l’eccezionale violenza del terremoto e le conseguenti accelerazioni sismiche, ma una serie di concause a carico degli imputati che, attraverso negligenze, imperizia e omissioni - commesse nell’intervento di riparazione della parte basale-angolare della palazzina danneggiata a seguito del terremoto di L’Aquila del 2009 - avrebbero poi causato il collasso dell’edificio. Nessuna responsabilità umana per il tribunale di Rieti e nessun colpevole: i lavori furono eseguiti in linea con quanto riportato nel progetto, in base alla tipologia di intervento richiesto. Tesi antitetiche, che lasciano comunque un vuoto incolmabile per la cancellazione così brutale e tremenda di quelle vite e, nello stesso tempo, tutto l’amaro e il dolore della consapevolezza che mai, nessuna sentenza e nessun processo d’Appello, potranno restituire ai familiari la perdita dei propri cari.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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