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Nando Casamonica dopo il raid al bar: «Arrestateli, nostra famiglia non tocca le donne»

di Paolo Chiriatti e Alessia Marani
Articolo riservato agli abbonati
Martedì 8 Maggio 2018, 00:11 - Ultimo agg. : 21:15
3 Minuti di Lettura

«I due responsabili del pestaggio? Mai visti prima. Anzi, non sono dei Casamonica, ma se lo fossero bisognerebbe spezzargli le gambe». Via Domenico Baccarini è a una manciata di metri dal Roxy Bar. Al civico 50 la villa di Nando Casamonica si impone sulle altre case, con il suo corredo di statue e piante ben curate. Nando è l’ultimo capostipite della famiglia. Fratello di Vittorio, le cui immagini del funerale celebrato nel 2015 ricompaiono ogni volta che si torna a parlare della famiglia, appare quasi benevolo dall’alto dei suoi 77 anni.
 



Il fisico minato dal diabete, parla di quanto accaduto soppesando le parole: «Conosco bene i gestori del bar, ci vado spesso a fare colazione, sono brave persone. Quel locale era della nostra famiglia, lo vendemmo molti anni fa per tre milioni di lire. Chi ha fatto questo andrebbe punito. Cercherò di capire chi sono e parlerò con i loro genitori. Strano che di un fatto di oltre un mese fa se ne parli oggi. La polizia dovrebbe arrestare questi ragazzi. Perché sono liberi?». Con Nando ci sono la moglie Loredana e due dei suoi figli, Tony e Virginia. Preparano il caffè.

Dite di non conoscere i responsabili, ma le indagini riportano i loro cognomi e l’appartenenza al quartiere. Vi siete fatti un’idea dell’accaduto?
«Io e quelli della mia generazione abbiamo tre regole d’oro: mai toccare donne, bambini e la droga. Quando eravamo giovani noi la droga qui non passava, ora devasta i cervelli dei nostri ragazzi e di quelli italiani. Chi ha picchiato quella donna non è degno del nome che porta », risponde Tony che ha 61 anni e dice di avere «chiuso tutti i conti con la giustizia». 

È sicuro di non sapere altro su questa storia?
«Credo che chi ha agito così era strafatto o ubriaco. Si chiama Casamonica o Spada? È giusto che paghi lui per quello che ha fatto senza trascinarsi dietro tutti gli altri. Non abbiamo niente da nascondere, la nostra casa è sempre aperta, se chi bussa lo fa con rispetto».

Anche per voi l’aggressione è solo un episodio isolato?
«Ogni volta che succede qualcosa e c’è di mezzo il nome Casamonica arrivano i giornalisti che ci puntano le telecamere in faccia, noi siamo colpevoli in partenza, siamo un bersaglio facile. Ci sono persino degli impostori che si spacciano per appartenenti alla nostra famiglia per minacciare e rapinare».

In questo caso però nessuno ha millantato appartenenze.
«Peggio, perché esiste un detto che spiega tutto: “Non si ruba in casa dei ladri”. La Romanina è casa nostra e noi qui non vogliamo avere problemi, né con le forze dell’ordine né con i vicini. Questi ragazzi che hanno picchiato la signora disabile e il barista ci hanno attirato di nuovo addosso tutti i riflettori. Le nuove generazioni fanno di testa loro». La sorella, Virginia, guarda in televisione la sindaca Raggi che condanna il pestaggio.

Un segnale forte, non crede?
«Una passerella sfruttando il nome Casamonica. Piuttosto venisse per quel che le compete davvero: per la spazzatura che nessuno rimuove e in cui sguazzano i topi e per le buche sulle strade. Ci descrivono come mafiosi, addirittura come clan, ma prendersela con noi è facile, perché non ci siamo mai nascosti».
Ci sono anche le ville con i marmi, le statue, oltre alle buche, qui alla Romanina.
«E allora? Noi abbiamo fatto anche la fame, siamo arrivati a Roma che non avevamo niente, ci piacciono le cose belle. Ci siamo sempre arrangiati. Ma poi diciamocela tutta: chi darebbe mai un lavoro ai Casamonica. Siamo marchiati».

 

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