Andrea Pellegrini, il fermo in Florida e le botte al pedofilo: la vita fuori controllo dell'agente del caso Omerovic

Metodi muscolari, l’autoritarismo che diventa «pervicacia» e «l’incapacità di autocontrollo», almeno in base alle testimonianze dei colleghi

Andrea Pellegrini, il fermo in Florida e le botte al pedofilo: la vita fuori controllo
Andrea Pellegrini, il fermo in Florida e le botte al pedofilo: la vita fuori controllo
di Valentina Errante e Alessia Marani
Venerdì 23 Dicembre 2022, 00:19
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Il filantropo, che dedica canzoni ai bambini di Malindi ed è impegnato in un’associazione che li assiste, e l’uomo aggressivo e violento, che si vanta di «avere picchiato un pedofilo». Il doppio volto di Andrea Pellegrini, classe ‘72, si era mostrato in altre occasioni con atteggiamenti che il gip chiosa come «spregio della funzione pubblica svolta». Metodi muscolari, l’autoritarismo che diventa «pervicacia» e «l’incapacità di autocontrollo», almeno in base alle testimonianze dei colleghi, che hanno raccontato come il poliziotto, arrestato due giorni fa con l’ipotesi di tortura, fosse «aduso a comportamenti aggressivi nell’espletamento delle attività di servizio». 

Era stato costretto a lasciare la Squadra Mobile per il commissariato di Primavalle, Pellegrini, perché era stato accusato di aver rivelato notizie riservate.

Ma quello non è stato l’unico inciampo nella sua carriera. Anni fa, era stato fermato in Florida: aveva rubato in un supermercato. Arrestato e rilasciato su cauzione, in Italia, ha continuato a indossare la divisa. 

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I suoi difensori, Remo Pannain ed Eugenio Pini, puntano sull’impegno di Pellegrini nell’associazione gli “Angeli del Malindi”, che assiste 33 bambini, e sulle canzoni scritte, cantate e caricate in rete per la figlia più piccola. Dettagli che, secondo i legali, mostrano l’animo sensibile: «Si è sempre dedicato ai bambini», dicono. Ma la vita professionale dell’assistente capo della polizia racconta altro. Nel 2007 ha ricevuto un richiamo scritto al termine di un procedimento disciplinare che di fatto aveva comportato il suo trasferimento dalla Squadra Mobile. Pellegrini aveva avvisato un fotografo del suo imminente arrivo in Questura con un indagato, fermato con l’ipotesi di violenza sessuale nei confronti di una ragazza americana. E, si legge negli atti, «ciò aveva comportato, tra le altre cose, che il soggetto venisse fotografato mentre si trovava ancora ammanettato in Questura». 

LA PAURA

Fabrizio Ferrari, il collega che era con lui il 25 luglio in casa di Hasib Omerovic, e da indagato ha deciso di collaborare, ha riferito che in passato Pellegrini si era vantato di avere «malmenato un pedofilo in occasione di un arresto» e di «svolgere lavori da investigatore privato fuori dell’attività d’ufficio, installando Gps e seguendo le persone». Tanto da avere paura nel riferire quanto fosse accaduto in casa di Hasib: «Non ha comportamenti e reazioni prevedibili», si è giustificato. E del resto dalle testimonianze è emerso «l’atteggiamento tenuto da Pellegrini nei suoi confronti, volto a influenzarlo nel caso avesse avuto intenzione di riferire qualcosa circa l’accaduto, dicendogli che sarebbe stato meglio non riferire in merito allo sfondamento della porta», ha scritto il gip nell’ordinanza. Così è stato, fino a quando la storia non è finita sui giornali e gli indagati hanno scaricato il collega. Sulla sua pagina Facebook, c’è davvero «il padre di famiglia» raccontato dai legali, la passione per la Lazio, qualche foto con la pistola in pugno e una con la maglia dei Bope di Rio de Janeiro, le forze speciali che operano nelle favelas.

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