Roma è la capitale delle culle vuote: nati in calo del 10%. I dati Istat del 2022: declino da record

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Roma è la capitale delle culle vuote: nati in calo del 10%. I dati Istat del 2022: declino da record
Roma è la capitale delle culle vuote: nati in calo del 10%. I dati Istat del 2022: declino da record
di Luca Cifoni
Venerdì 20 Gennaio 2023, 00:14 - Ultimo agg. 09:40
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La capitale della denatalità? Roma. In Italia prosegue anche nel 2022 la contrazione delle culle, ma con andamenti differenziati tra le varie aree del Paese. I dati resi disponibili dall’Istat sono quelli che arrivano allo scorso ottobre: se a livello nazionale il calo rispetto ai primi dieci mesi del 2021 è del 2,6 per cento, le Regioni del Centro fanno segnare un -6 per cento e Roma da sola sfiora il -10. Nell’insieme questi numeri proietterebbero sull’intero anno un flusso assoluto di nati intorno a quota 390 mila, circa 10 mila in meno rispetto a quelli dello scorso anno. Insomma sembra proprio che non sia destinata a fermarsi la tendenza negativa iniziata dopo il 2008 e proseguita anche all’indomani del periodo più buio della pandemia, nonostante un qualche recupero - negli ultimi mesi del 2021 - delle nascite rinviate in precedenza. Un’emorragia che ha ridotto il numero dei bimbi venuti al mondo nel Belpaese di circa 180 mila unità, con un crollo cumulato in 13 anni che vale oltre il 30 per cento.

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IL RECORD

Già questa percentuale complessiva, che a livello europeo ci consegna il record negativo della natalità, non è stata omogenea da Nord a Sud.

Le Regioni del Centro (dal punto di vista amministrativo ne fanno parte Toscana, Umbria, Marche e Lazio) hanno sperimentato in quell’arco di tempo una caduta più marcata, superiore al 34 per cento: a parte la minuscola Val d’Aosta, nello stesso periodo le cose sono andate peggio solo in Sardegna. E in questo quadro anche Roma ha avuto una flessione vistosa, vicina al 35 per cento. Guardiamo per un attimo ai valori assoluti: nel 2008 nella Capitale erano nati 27.603 bambini, nel 2021 il totale era sceso sotto quota 18 mila. Tra gennaio e ottobre dell’anno che si è da poco concluso sembra esservi stata un’accelerazione, con un’ulteriore riduzione del 9,7% che si è fatta sentire in particolare negli ultimi due mesi considerati: a ottobre il totale delle nascite si è fermato appena al di sopra della soglia dei mille e il consuntivo del 2022 dovrebbe posizionarsi non troppo oltre quota 16 mila.

LA REVISIONE

Bisogna naturalmente ricordare che i dati in questione sono provvisori e sottoposti a revisioni anche non trascurabili: ma l’andamento è assolutamente chiaro. Alla forte diminuzione di nascite del Centro si accompagna un risultato del Nord in linea con la media nazionale (seppur differenziato al suo interno) e un Mezzogiorno che sostanzialmente tiene. È ancora presto anche per individuare oltre a quelle territoriali anche tendenze di altro tipo, relative ad esempio a possibili divaricazioni tra città ed altre aree. Qualche indizio in questo senso però si nota: ad esempio confrontando il dato di Napoli, negativo per oltre il 3 per cento, con quello della Campania che invece nel suo complesso fa segnare un recupero. Mentre Milano, che tra 2008 e 2021 aveva fatto segnare una caduta molto più contenuta (inferiore al 20 per cento) ha poi sperimentato nell’ultimo anno un calo del 2,9 per cento, poco al di sopra di quello dell’intera Lombardia.

LE CONSEGUENZE

La denatalità ha comunque conseguenze pesanti più o meno dappertutto: se nelle aree interne, ad esempio quelle montane dell’Appennino, porta ad uno spopolamento che rischia di trasformarsi in desertificazione, anche in zone a maggiore densità incide progressivamente sull’organizzazione scolastica, sui consumi e sull’andamento dell’economia. In prospettiva cambia il paesaggio sociale e insidia la tenuta del welfare state. L’altra faccia della medaglia è l’invecchiamento della popolazione, fenomeno di per sé quanto mai positivo perché deriva dalla maggiore longevità, che però impone una profonda riorganizzazione dei servizi pubblici e della società nel suo insieme. A Roma la percentuale di residenti con 65 anni e più è intorno al 23 per cento, appena al di sotto del valore nazionale, ma comunque in forte crescita. Simmetricamente, la quota di ragazzi fino a 14 anni rappresenta poco meno del 13 per cento, dato anche questo in linea con quello medio italiano. Le previsioni della popolazione messe a punto dall’Istat anche a livello comunale prevedono da qui al 2031 - per la Capitale - un assottigliamento della popolazione in età scolastica che si avvicina alle sessantamila unità. Con conseguente riduzione degli edifici e degli insegnanti. Ma è difficile pensare che una trasformazione di questo tipo non abbia altri effetti, meno visibili ma forse più profondi.

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