Il clan Casamonica e il raid al Roxy Bar: «Si sentivano padroni» `

Il clan Casamonica e il raid al Roxy Bar: «Si sentivano padroni» `
di Adelaide Pierucci
Giovedì 20 Dicembre 2018, 10:02
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Il pestaggio al Roxy Bar fu un'ostentazione del potere del clan sul territorio. Non si sono mossi da prepotenti, ma da padroni di quello spicchio di quartiere, elemento cruciale per inquadrare l'aggravante del metodo mafioso.

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Per il gip Maria Paola Tomaselli quando Alfredo e Vincenzo Di Silvio - appena condannati per violenza privata e lesioni con l'aggravante dell'articolo sette rispettivamente a 4 anni e 10 mesi e 4 anni e 8 mesi, assieme al nonno Enrico, (2 anni, per minacce) e Antonio Casamonica (ancora sotto processo) - hanno aggredito a La Romanina una cliente disabile e il proprietario del locale, un cittadino romeno, lo hanno fatto col proposito di «ribadire il loro dominio sulla zona» e «eliminare chiunque si ponesse rispetto ad esso come corpo estraneo, insubordinato o non allineato alle regole da loro imposte.

In una situazione di tal fatta - ha premesso il magistrato che ha giudicato i tre imputati col rito abbreviato - poco importa che l'esistenza di un clan Casamonica non sia stata ancora giudizialmente accertata con sentenza passata in giudicato, non solo perché la sua presenza nel territorio è affermata da due collaboratori di giustizia e dalle stesse vittime ma soprattutto perché per la sussistenza della contestata aggravante non è necessaria l'esistenza dell'associazione criminale o la partecipazione, ma è sufficiente che venga evocata». E per il giudice il comportamento è stato oggettivamente da boss. D'altra parte anche le parole di Di Silvio senior, Enrico, sono considerate da capoclan: «Non ritirate la denuncia? Allora volete la guerra».


«La sussistenza di un clima di omertà e di paura sarebbe evidenziata dall'assenza di qualsivoglia reazione a fronte della condotta degli aggressori e ciò non soltanto quando essi si limitano a offendere il barista, Marian Roman, con frasi di chiaro tenore razzista (Ao', qua commannamo noi. Rumeno di me... Ti facciamo chiudere) ma anche quando pongono in essere il pestaggio dello stesso e l'aggressione nei confronti della cliente, che proprio per l'impossibilità della persona offesa (esile corporatura e portatrice di handicap)di difendersi appare particolarmente odiosa».

LE VIDEOCAMERE
Dalle videoregistrazioni risulta - si specifica ancora nelle motivazioni della sentenza - la presenza di circa sei o sette persone ed «è sconcertante osservare come nessuno abbia osato intervenire e come sia bastato un solo cenno della mano da parte di Antonio Casamonica per far desistere il barista dall'intervenire in ausilio della donna». Un altro elemento riconducibile al metodo mafioso sarebbe la successiva devastazione del locale e le intimidazioni che si sono susseguite nei giorni successivi. Le giustificazioni avanzate nell'interrogatorio di garanzia, già non avevano sortito effetti. C'è stato chi come Antonio Casamonica aveva raccontato di essere intervenuto per difendere la disabile dal pestaggio. E chi, come Alfredo Di Silvio, 20 anni e aria da bullo, aveva assicurato di non aver minacciato nessuno anzi si era scusato con «vittime e giustizia» affermando di non ricordare nulla perché era ubriaco e sotto effetto di droghe: «Mi vergogno, anzi».

 
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