Delitto Cerciello, i carabinieri: «Mostrammo i distintivi agli americani prima di intervenire»

I due americani accusati dell'uccisione del carabiniere Cerciello
I due americani accusati dell'uccisione del carabiniere Cerciello
di Marco Carta
Martedì 23 Giugno 2020, 10:24
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«Quando abbiamo bloccato i due americani a Trastevere durante uno scambio di droga mostrammo i distintivi e ci qualificammo dicendo che eravamo carabinieri». Commosso, ma chiaro nei ricordi. Per circa due ore e mezza ieri pomeriggio Pasquale Sansone, maresciallo in servizio presso la stazione Farnese, ha ricostruito la notte del 25 luglio in cui il vicebrigadiere dell’Arma, Mario Cerciello Rega venne ucciso. Nel corso dell’udienza del processo, che si svolge a porte chiuse, a carico di Christian Natale Hjort e Finegan Lee Elder, accusati dell’omicidio, si è lasciato andare ai ricordi: «Mario era il più esperto della stazione, quello che portava più risultati» Il suo racconto parte da piazza Mastai, dove si trova insieme ad altri tre colleghi. Quella sera Sansone è fuori servizio e non indossa la divisa. Ma ritrovandosi di fronte a una compravendita di droga, non può che intervenire. Intima l’alt e mostra la placchetta di riconoscimento: «Ci siamo qualificati come carabinieri». Ma non fa in tempo a capire chi ha davanti.

Il pusher Pompei: «Passo notizie ai carabinieri, ma non conoscevo Cerciello»
 

 
I due americani si danno alla fuga, lasciando nelle mani dei militari un involucro di colore bianco contenente una compressa di tachipirina. Il primo a fuggire è Natale, seguito subito dopo da Elder. L’antefatto è noto. Il mediatore Sergio Brugiatelli aveva appena accompagnato Natale Hjort a comprare cocaina non lontano da piazza Mastai, mentre Finnegan, al quale il mediatore aveva affidato il suo zaino, era rimasto in attesa. Per ricostruire la scena, però, i militari iniziano a prendere informazioni dai presenti. C’è Sergio Brugiatelli. Ma soprattutto c’è il presunto pusher di Trastevere Italo Pompei. Che secondo il racconto di Sansone si presenta come una fonte: «Sono amico dei carabinieri di Trastevere, sono un informatore». Dalle indagini era già emerso che aveva avuto 2mila contatti telefonici con un appuntato. A confermarlo era stato anche un sottufficiale dell’Arma sentito nel settembre scorso a sommarie informazioni dalla Procura. Lo stesso Pompei al Messaggero aveva confermato questo rapporto: «Se mi diceva “ma che sai qualcosa” gli rispondevo “si so qualcosa” però non ho mai firmato nulla», l’ammissione del presunto pusher di Trastevere, che, oltre a negare ogni conoscenza con Cerciello, si è sempre dichiarato estraneo al «pacco», l’aspirina al posto della cocaina, rifilato ai due americani. Di questo e di molti altri aspetti oscuri, l’uomo dovrà rendere conto mercoledì 24 giugno nell’aula Occorsio. Di sicuro, come ha confermato sempre nell’udienza di ieri Massari William, il luogotenente dell’Arma che ha svolto una serie di accertamenti sui tabulati telefonici di tutti i protagonisti della vicenda, negli ultimi due anni non sarebbero emersi contatti fra spacciatori, mediatori e i Carabinieri intervenuti quella notte: lo stesso Cerciello, il collega di pattuglia Andrea Varriale, così come i quattro militari di Trastevere. Nessuna chiamata, insomma. Non solo con Italo Pompei, ma nemmeno con Sergio Brugiatelli, anche lui atteso il prossimo 24 giugno. Quella notte è lui a chiamare il 112 denunciando la tentata estorsione dei due americani. Che chiedono 80 euro in cambio della restituzione del borsello. All’appuntamento per il cosiddetto “cavallo di ritorno” andranno Cerciello Rega e Varriale. L’epilogo è noto: il vicebrigadiere sarà ucciso con 11 coltellate. 

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