Roma, il commercio in crisi: già persi 30 mila posti «Gravi rischi a marzo». Triplicato il cibo sprecato dai ristoranti

Roma, il commercio in crisi: già persi 30 mila posti «Gravi rischi a marzo». Triplicato il cibo sprecato dai ristoranti
Roma, il commercio in crisi: già persi 30 mila posti «Gravi rischi a marzo». Triplicato il cibo sprecato dai ristoranti
di Fabio Rossi
Domenica 10 Gennaio 2021, 08:49 - Ultimo agg. 09:54
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La conta delle serrande abbassate, direttamente sul campo, la fa Valter Giammaria, leader romano di Confesercenti: 26 negozi chiusi in via Nazionale, 25 in via Frattina, 10 in via del Corso. E, allontanandoci dal cuore della Città eterna, altre 12 in viale Marconi. Ma il panorama della crisi del commercio romano, fiaccato dalla pandemia di Covid e dalle restrizioni anti-contagio, è simile un po' in tutti i quartieri, con particolare gravità nel centro storico e nelle zone immediatamente a ridosso delle Mura Aureliane come Prati, San Giovanni e il Salario. Via Cola di Rienzo, viale Libia, via Tuscolana: il quadro della situazione si vede sui marciapiedi che si apprestano a vivere, a partire da martedì, la stagione dei saldi invernali. Stavolta con poco entusiasmo e tanti timori di un nuovo flop.

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LE CIFRE
A pesare, ora, c'è anche il dato dell'occupazione.

Confesercenti parla di diecimila imprese commerciali - tra negozi e pubblici esercizi - chiuse a Roma e nel Lazio negli ultimi dieci mesi. Un calo di attività che equivale a circa trentamila posti di lavoro persi, tra i dipendenti, senza considerare i titolari e i familiari che spesso collaborano alla gestione. «Ma il vero dramma potrebbe consumarsi quando si esauriranno i fondi stanziati per la cassa integrazione», osserva Giammaria.

Dopo il 31 marzo, se gli ammortizzatori sociali non fossero rinnovati e in assenza di una completa ripresa del settore, «altri sessantamila lavoratori rischierebbero seriamente di restare disoccupati», sottolinea il numero uno di Confesercenti nella Capitale. Per evitare la catastrofe, secondo le associazioni di categoria, serve una proroga delle misure di sostegno, «ma soprattutto ristori all'altezza della situazione: quelli ricevuti fino a oggi non bastano nemmeno a coprire parte delle spese sostenute dai commercianti», ribadisce Giammaria.

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LA PROGRAMMAZIONE
Una cosa mette d'accordo tutti i commercianti romani: «Manca una seria programmazione, non possiamo andare avanti nell'incertezza dei colori che cambiano ogni giorno, rendendoci impossibile organizzare il lavoro». A pagare le conseguenze di questa situazione sono soprattutto i ristoratori, che per lavorare devono approvvigionarsi di prodotti alimentari, con il rischio di doverli sprecare in caso di chiusura forzata dell'esercizio. Tanto che molti locali sono rimasti chiusi a pranzo anche giovedì e venerdì scorso, giornate gialle nelle quali avrebbero potuto tenere le saracinesche alzate fino alle 18, per poi limitarsi ad asporto e delivery. «In media ogni ristoratore, in periodi normali, è costretto a buttare via il 5 per cento del cibo acquistato per servire i propri clienti - spiega Claudio Pica, presidente romano della Fiepet (Federazione italiana esercizi pubblici e turistici) - In queste settimane la percentuale di prodotti sprecati si è triplicata, arrivando a quota 15». Un dato che, secondo gli esercenti, si spiega proprio con le incertezze sulle restrizioni.

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IL SETTORE
La ristorazione, secondo la Fiepet, nella Capitale occupa duecentomila persone, direttamente o con l'indotto. «Gennaio rischia di essere il mese più duro per il settore - dice Pica - Servono ristori adeguati e un intervento del Governo sugli affitti, che riduca almeno del 30-40 per cento il peso di questa spesa sui commercianti in crisi, con crediti d'imposta per i proprietari dei locali». Altrimenti il conto finale, per l'economia romana, potrebbe essere ancora più salato di adesso, a partire proprio da bar e ristoranti: «Rischiamo seriamente di trovarci, a fine emergenza, con la metà dei pubblici esercizi chiusi e gli altri costretti a ridurre il personale - avverte Pica - In totale, sette lavoratori su dieci resterebbero a casa».

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