Cucchi, Difesa sarà parte civile. Il carabiniere: «A Stefano calci in faccia»

Cucchi, Difesa sarà parte civile. Il carabiniere: «A Stefano calci in faccia»
Cucchi, Difesa sarà parte civile. Il carabiniere: «A Stefano calci in faccia»
Lunedì 8 Aprile 2019, 08:51 - Ultimo agg. 21:58
4 Minuti di Lettura

I calci visti sferrare a Stefano Cucchi, le minacce affinché tutto restasse nel silenzio, la paura e le difficoltà di fronte a quel «muro insormontabile». Per la prima volta, a dieci anni dalla morte di Cucchi, nell'aula del tribunale di Roma una voce e un volto, quelli di Francesco Tedesco, scandiscono con esattezza i dettagli del presunto pestaggio di Stefano. Il vice brigadiere accusato di omicidio preterintenzionale conferma le sue accuse di pestaggio contro gli altri due carabinieri coimputati, Raffaele D'Alessandro e Alessio Di Bernardo. 

Caso Cucchi, Ilaria su Fb dopo la lettera di Nistri: «Ora i giudici abbiano coraggio»

Di fronte a lui, oltre alle toghe e ai giudici della Corte d'Assise, ci sono i genitori di Stefano e la sorella Ilaria che ascolta «una verità raccontata da chi era presente quel giorno e che arriva dopo dieci anni». E la «verità» di Tedesco, che si dipana man mano in un interrogatorio durato oltre sette ore, sembra ora segnare un punto di non ritorno nel processo bis sulla morte del giovane geometra romano. 

Cucchi, pm: carabinieri avevano una relazione segreta sull'autopsia


Dopo l'annuncio dell'Arma, che ha deciso di costituirsi parte lesa nell'eventuale procedimento che riguarda l'inchiesta sui depistaggi, il ministero della Difesa - secondo quanto riferisce lo stesso premier Giuseppe Conte - è favorevole a costituirsi parte civile nell'attuale processo. «Chiedo scusa alla famiglia Cucchi e agli agenti della polizia penitenziaria, imputati al primo processo. Per me questi anni sono stati un muro insormontabile», ha esordito Tedesco prima di raccontare la sua versione su quanto accaduto la notte dell'arresto del giovane, tra il 15 e il 16 ottobre, nei locali della compagnia Casilina. «Chi sbaglia paga, anche se indossa una divisa, ma non accetto che l'errore di pochi comporti accuse o sospetti su tutti coloro che ci difendono: sempre dalla parte delle Forze dell'Ordine». Lo dice il ministro dell'Interno Matteo Salvini, a proposito del caso Cucchi.
 


Poi il vice brigadiere ha ripetuto quanto già detto di fronte al pm lo scorso luglio: «Al fotosegnalamento Cucchi si rifiutava di prendere le impronte: siamo usciti dalla stanza e il battibecco con Alessio Di Bernardo è proseguito. A un certo punto Di Bernardo ha dato uno schiaffo violento a Stefano»... poi «Cucchi è caduto a terra, battendo la testa e Raffaele D'Alessandro ha dato un calcio in faccia a Stefano». Da allora per il vice brigadiere, che spiega di aver provato da subito a riferire ai superori quanto era successo, si sono succeduti anni di «paura e minacce», che «in dieci anni della mia vita non avevo ancora raccontato a nessuno». «Ero letteralmente terrorizzato - racconta in aula Tedesco con lo sguardo basso -. Ero solo contro una sorta di muro».

E punta il dito anche contro il maresciallo Roberto Mandolini, all'epoca comandante della stazione Appia e suo superiore, imputato per calunnia e falso: «'Tu devi continuare a seguire la linea dell'Arma se vuoi continuare a fare il carabinierè, mi diceva Mandolini quando gli chiedevo come dovevo comportarmi se fossi stato chiamato a testimoniare in merito alla vicenda di Cucchi. Ho percepito una minaccia nelle sue parole». Ma quel muro si sta sgretolando. Il comandante generale dei Carabinieri, Giovanni Nistri, ha annunciato che l'Arma si costituirà parte lesa nell'eventuale processo carico di otto carabinieri, tra cui ufficiali, che riguarda i depistaggi. «Dopo dieci anni abbiamo sentito in aula la verità e le intenzioni dell'Arma - spiega la sorella di Stefano - ci fanno sentire finalmente meno soli». Così come ora non è più solo il vice brigadiere Tedesco, che in aula ha incrociato lo sguardo di Ilaria e dei genitori di Stefano, attoniti di fronte ad una testimonianza per loro devastante. Ma che malgrado tutto aspettavano da dieci anni. Una verità dolorosa quanto attesa per fare giustizia di chi morì «qunado era nelle mani dello Stato». ​

© RIPRODUZIONE RISERVATA