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Il Mattino

Roma, la moglie del motociclista ucciso sulla Tiburtina: «I nostri figli vogliono la verità»

Emanuele Lenzoni e la moglie Irene
Emanuele Lenzoni e la moglie Irene
di MIchela Allegri e Alessia Marani
Articolo riservato agli abbonati
Domenica 24 Gennaio 2021, 00:05 - Ultimo agg. : 12:24
4 Minuti di Lettura

L’autista del pullman che ha travolto Emanuele Lenzoni lunedì all’alba sulla Tiburtina si è fermato, è sceso dal mezzo, ha visto il 38enne a terra con il suo scooter e poi sarebbe risalito a bordo per riprendere servizio. È la nuova circostanza choc su cui la Procura dovrà fare luce anche grazie alle immagini delle telecamere acquisite dai vigili del IV Gruppo. La moglie di Emanuele, Irene, ora chiede giustizia tra le lacrime: «Vogliamo la verità, mio marito era uscito per andare al lavoro me l’hanno ammazzato, l’hanno strappato ai suoi figli».

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LA RICOSTRUZIONE


L’ultracinquantenne conducente del pullman gt di una ditta privata di trasporti regionale è indagato per omicidio stradale, ma non per omissione di soccorso. Almeno per il momento. Gli inquirenti stanno facendo ulteriori accertamenti, incrociando le testimonianze e analizzando tabulati e filmati. Per ora, la ricostruzione, basata su alcune dichiarazioni, è questa: l’indagato, che era in ritardo nell’inizio turno, sarebbe stato raggiunto sul luogo dell’incidente da un collega e insieme avrebbero chiamato i soccorsi. Poi, lui non si sarebbe fermato ad attendere l’ambulanza, ma sarebbe tornato al lavoro. All’arrivo degli agenti, non era lì e nessuno ha riferito dell’investimento. Tanto che il conducente, nell’immediatezza, non è stato sottoposto ai test per l’alcol e la droga. Nei prossimi giorni il pm Eugenio Albamonte ascolterà di nuovo i testimoni e, incrociando le dichiarazioni alla visione dei filmati, potrebbe decidere di rendere l’ipotesi di reato più pesante.


Per ora dalle indagini è emerso che il pullman e lo scooter Sh di Lenzoni procedevano paralleli sul rettilineo sopraelevato rasente al piazzale della stazione di Ponte Mammolo. Il motorino avrebbe perso aderenza a causa del ghiaccio e sarebbe entrato in collisione con il mezzo pesante. «Quando ho visto tutto quel sangue sull’asfalto, quando ho preso tra le mani quei pezzetti di plastica che i vigili mi dicevano essere di un casco - racconta Irene, assistita fin dal primo momento dall’avvocato Massimo Iesu - ho intuito che ci fosse dell’altro, che mio marito non potesse avere fatto tutto da solo». La prima certezza è arrivata dall’autopsia: segni inconfutabili di schiacciamento, quello che i medici legali descrivono come «snocciolamento cranico», provocato con probabilità da un mezzo con pneumatici alti. 


L’INCUBO
Lunedì Irene ha annusato la spugna attaccata a quei pezzetti di casco e ha capito che la vittima dell’incidente era il marito: «Era il suo odore e ho realizzato». Nessuno l’aveva avvisata. È stata lei, non sentendolo al telefono, a preoccuparsi e a mettersi alla sua ricerca. Un incubo. «Era il responsabile Upim di Prati Fiscali e doveva aprire il negozio. Lo chiamavo e non rispondeva. Ho chiesto un permesso, sono andata in polizia - dice - dopo un bel po’ gli agenti, funerei, mi hanno detto di chiamare i vigili, ma al comando non rispondevano. Ho detto a mio padre di accompagnarmi in auto al distaccamento ma, sulla Tiburtina, c’era un traffico pazzesco e nella nostra corsia c’era ghiaccio. Sono scesa e mi sono avvicinata al tratto di strada chiusa. C’erano quei frammenti, poi a distanza il lenzuolo su un corpo, lo scooter e il sangue. I vigili parlavano del sale, chiedevano chi avesse dovuto spargerlo. La morte di Emanuele si poteva evitare: il ghiaccio era previsto». La coppia si era conosciuta all’Università, entrambi avevano intrapreso la stessa carriera. «Ci siamo rincorsi nei vari trasferimenti, a Parma, a Pisa, a Terni, per non perderci mai. Nel 2012 ci siamo sposati, nel 2016 il dono dei bambini che vorranno sapere che cosa è successo al loro papà. A loro dobbiamo verità. Li crescerò con i valori positivi di Emanuele. Tra noi è solo un arrivedersi. Era un uomo straordinario, mi stanno arrivando tanti attestati di affetto. Una cosa è certa: non so come siano andati i fatti, ma mi chiedo come un autista professionista, dopo un incidente del genere, si sia potuto rimettere alla guida. Non poteva non rendersi conto».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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