Maddalena Urbani, morta a casa dello spacciatore a Roma. La Procura: «Poteva salvarsi, i soccorsi chiamati dopo 17 ore»

La vittima, 21 anni, era la figlia del medico che scoprì la Sars

Maddalena Urbani, morta a casa dello spacciatore a Roma. La Procura: «Poteva salvarsi, i soccorsi chiamati dopo 17 ore»
di Michela Allegri
Mercoledì 6 Aprile 2022, 07:21 - Ultimo agg. 11 Ottobre, 14:59
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Salvare la vita di Maddalena Urbani, la figlia ventunenne del medico Carlo Urbani, che per primo isolò la Sars, era possibile. Sarebbe bastato chiamare i soccorsi quando la ragazza aveva iniziato a sentirsi male dopo avere assunto droghe. Invece, la telefonata al 118 era stata fatta 17 ore dopo il malore, quando ormai non c'era più nulla da fare. Maddalena era morta per overdose in un appartamento in via Vibo Mariano, zona Cassia, casa del pusher siriano Abdulaziz Rajab, 65 anni. L'uomo è accusato di omicidio volontario con dolo eventuale, in concorso con Kaoula El Haouzi, amica della giovane. A sottolineare la responsabilità dei due imputati, durante l'ultima udienza del processo a loro carico, sono stati i consulenti tecnici della Procura. I fatti risalgono al 26 marzo del 2021. Ieri, in aula, i professionisti, una tossicologa e un medico legale, hanno spiegato che la giovane era morta a causa di un'overdose e che, con un intervento più tempestivo, si sarebbe potuta riprendere. La Urbani si era sentita male intorno alle 20 del 26 marzo, ma l'ambulanza era stata chiamata solo alle 13 del giorno successivo. Secondo l'accusa, gli imputati avrebbero lasciato morire la ragazza per evitare di avere problemi con la giustizia. Rajab, infatti, all'epoca era sottoposto agli arresti domiciliari. Ieri è stato sentito anche un altro testimone: un uomo che l'imputato chiamava «medico», un sessantenne con problemi di dipendenze e che in passato aveva dato qualche esame di Medicina. Aveva visitato Maddalena e, nella tarda mattinata del 26 marzo, le aveva somministrato una dose di adrenalina, prima dell'arrivo dell'ambulanza. Nel procedimento si sono costituti parte civile la madre e il fratello della Urbani, assisti dall'avvocato Giorgio Beni.

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L'ARRESTO
Nel luglio dello scorso anno, il pubblico ministero Pietro Pollidori aveva chiesto e ottenuto l'arresto del siriano, che all'epoca era già in carcere per spaccio di eroina. Maddalena lo aveva memorizzato come Zio Cassi nel telefono. A casa sua gli investigatori avevano trovato numerose confezioni di psicofarmaci, ma anche eroina e metadone. Poco tempo dopo, Kaoula El Haouzi era stata sottoposta all'obbligo di dimora. Nella notte del 26 marzo 2021, quando la Urbani stava male, il sessantacinquenne aveva chiamato un cittadino rumeno e il suo amico «medico» per soccorrerla. L'ex studente di Medicina aveva fatto alla giovane un'iniezione di adrenalina, poi rivelatasi ininfluente sulle cause del decesso stabilite dal medico legale. Mentre l'altro, nella tarda serata del 26, aveva praticato alla giovane un massaggio cardiaco, consigliando di chiamare i soccorsi in caso di peggioramento. Il 118, nonostante le condizioni di Maddalena fossero critiche, era stato chiamato solo il giorno successivo. Gli imputati, per l'accusa, erano consapevoli del fatto che la ragazza fosse in pericolo di vita.
Il siriano si è giustificato dicendo di avere fatto di tutto per soccorrere la ventunenne, ma, sottolineano gli inquirenti, si sarebbe limitato a chiamare due amici, tra i quali un tossicodipendente, pagato con una dose di eroina, che non aveva completato gli studi di Medicina, iniziati molti anni fa e poi abbandonati. Nell'ordinanza di arresto, il gip sottolineava che l'imputato aveva agito con «assoluto disinteresse per le conseguenze letali delle sue scelte egoistiche». Dall'autopsia era emerso che ad uccidere Maddalena era stato un cocktail di metadone, benzodiazepine e cocaina. Per l'avvocato Andrea Palmiero, legale di Rajab «gli elementi emersi rafforzano idea che ci eravamo fatti fin dall'inizio: si tratta di una disgrazia che lascia solo intravedere una colpa e non un dolo». Per il legale, si tratta di «omicidio colposo, non volontario. In quella casa erano convinti di avere fatto il possibile per cercare di salvare la ragazza, pensavano che si fosse ripresa».
Michela Allegri
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