L'ultima inchiesta su Diabolik: la droga e gli affari dei clan

Marco De Risi Alessia Marani
Marco De Risi Alessia Marani
di Marco De Risi e Alessia Marani
Venerdì 9 Agosto 2019, 08:36 - Ultimo agg. 10:26
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È arrivata la morte prima di una nuova inchiesta. Perché la Dda, la Direzione distrettuale antimafia, da mesi aveva gli occhi puntati addosso al Diablo. I carabinieri stavano raccogliendo prove e indizi su un nuovo giro di droga, affari con i clan per il controllo delle piazze sull'asse Roma Nord-Roma Est, dopo che nel 2013 Fabrizio Piscitelli, 53 anni, al secolo Diabolik, era già stato arrestato per narcotraffico dal Gico della Finanza. L'indagine in corso volava alto. Puntava a inquadrare la spartizione del narcotraffico nelle zone più floride della Capitale: dal cuore della movida a Ponte Milvio, fino ai caseggiati popolari della Tuscolana (zona di interregno con albanesi e Casamonica). Gli inquirenti sono convinti che Diabolik ricoprisse un ruolo di primo piano nei delicati equilibri della mala romana e che fosse uno dei fulcri su cui si basava la pax mafiosa a Roma.

CARISMA
Che lo stesso carisma che lo aveva sempre contraddistinto e reso il leader indiscusso degli Irriducibili della Curva Nord, lo illuminasse anche nei rapporti con pezzi da novanta del potere criminale attivo a Roma. Che, insomma, potesse confrontarsi alla pari anche con personaggi di rango senza avere paura. Che fossero albanesi, camorristi e addirittura le più pericolose ndrine calabresi. Forse, questa volta, però, Diablo è stato troppo spavaldo. Forse ha esagerato nel fare pesare il suo ruolo da ago della bilancia. Come? La risposta si può cercare tra le informative e in alcune intercettazioni raccolte da poliziotti di lungo corso che da vent'anni a questa parte hanno seguito le rotte dei carichi di hashish e coca che hanno inondato la Capitale via porti e aeroporti o le staffette della auto a noleggio imbottite di stupefacente. Rotte che dal terminale del litorale romano, negli anni hanno sempre più virato verso Nord-Est. A costo di gambizzazioni e avvertimenti di piombo. «Adesso con la morte di Piscitelli, sono guai seri», si lascia sfuggire un investigatore. Temendo una guerra tra bande.

INDUSTRIA SANBA
C'è un teorema che vedrebbe a Roma una lotta sottotraccia per la spartizione delle piazze più fruttuose. Prima fra tutte quella di San Basilio, un'industria della droga che genera introiti criminali stimati in oltre 120 milioni di euro all'anno. Un piatto ricchissimo a cui tutti i principali gruppi malavitosi romani (e non) vogliono mangiare. È qui che, affievolito anche sotto i colpi delle inchieste giudiziarie il potere del clan autoctono dei Primavera, che si sarebbero improvvisamente aperti nuovi spazi. Soprattutto all'influenza delle famiglie calabresi sempre più predominanti.

I CLAN DI OSTIA
Ma ultime indagini hanno visto scalpitare anche i clan di Ostia desiderosi fra l'altro di sfuggire ai riflettori accesi dai media in casa propria, con loro emissari visti bazzicare dalle parti di SanBa e del Tufello. È qui che all'indomani di un paio di agguati a suon di piombo, uno spacciatore terrorizzato tira in ballo per la prima volta i lidensi: «Mi hanno detto che era gente di Ostia», mette a verbale. Presenza che emerge anche da intercettazioni. Qualche esponente del clan farebbe tappa fissa in un bar di Talenti. «Stanno sempre fermi lì davanti», racconta un testimone che aggiunge: «Pare il quartiere generale».

Anche in questo contesto puntano le nuove indagini degli inquirenti. Pezzi della Nord sono già dietro le sbarre. E in passato avevano stretto patti e lavorato insieme alle organizzazioni di Ostia e della Tuscolana. Per fare un carico di droga più forze, diverse, si uniscono. Poi decidono come rivenderla, stabiliscono le quote, le stecche che spettano a ognuno. A luglio uno striscione degli Irriducibili ripeteva «Turco libero», chiedendo giustizia per M. T., narcotrafficante arrestato nell'ambito di un giro di spaccio gestito da un cartello tra ndrangheta a Montespaccato. Cambiano le zone, stessi gli attori.
 
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