Pamela Mastropietro, il superteste in aula: «Era viva quando Oseghale tentò di farla a pezzi»

Pamela Mastropietro, il superteste in aula: «Era viva quando Oseghale tentò di farla a pezzi»
Mercoledì 6 Marzo 2019, 13:14 - Ultimo agg. 20:58
8 Minuti di Lettura

Gli ultimi momenti di vita di Pamela, la paura, l'orrore. «Oseghale iniziò a fare a pezzi Pamela, cominciò da un piede. Ma era viva allora le diede un'altra coltellata». Le confidenze di Innocent Oseghale al supertestimone dell'accusa, ma prima l'incontro in carcere ad Ascoli, il litigio, il chiarimento: il pentito Vincenzo Marino è ascoltato in queste ore nella seconda udienza del processo davanti alla Corte di Assise di Macerata per la morte di Pamela Mastropietro in cui il nigeriano è imputato e accusato di aver ucciso e fatto a pezzi la 18enne romana.

Omicidio di Pamela, al processo la madre sfida l'imputato Oseghale: «Guardami negli occhi»

 

 


«Mi disse che la ragazza arrivò a Macerata, ai giardini Diaz, e gli chiese un po' di eroina». Oseghale gli rispose che aveva «solo erba» ma che avrebbe potuto «farla arrivare». Oseghale chiamò un suo connazionale Desmond Lucky e «in attesa della droga la ragazza pagò il nigeriano con una collanina che le aveva regalato la madre». Questo il resoconto di Vincenzo Marino, che ha raccontato di aver raccolto le confidenze di Oseghale, quando ad Ascoli furono detenuti insieme per un breve periodo.
 


Un racconto dettagliato. «Sono andati a comprare una siringa e sono andati a casa, Oseghale, Desmond Lucky e la ragazza per consumare un rapporto a tre» perché «Desmond Lucky e Oseghale volevano stare con la ragazza». Oseghale «mi raccontò che la ragazza si era fatta di roba, Desmond si avvicinò per approcciarla e lei lo respinse, Desmond Lucky gli diede uno schiaffo e cadde a terra e svenne. Poi Desmond Lucky se ne andò», continua la testimonianza in aula.

«Desmond Lucky se ne andò, Oseghale tentò di rianimarla con acqua sulla faccia per farla riprendere, lei si riprese. Oseghale l'ha spogliata, era sveglia ma aveva gli occhi girati all'insù» e «hanno avuto un rapporto sessuale completo». Poi continua Marino la «ragazza voleva andare via, a casa, a Roma perché aveva il treno, disse che sennò l'avrebbe denunciato. I due ebbero una colluttazione, si sono spinti, poi Oseghale le diede una coltellata all'altezza del fegato e Pamela cadde a terra».

Pensando che dopo aver accoltellato Pamela Mastropietro, la ragazza fosse morta,
Innocent Oseghale mi raccontò che andò ai giardini Diaz per chiedere, invano, l'aiuto a un connazionale poi «tornò a casa, convinto che la ragazza fosse morta e la squartò iniziando dal piede. La ragazza iniziò a muoversi e lamentarsi e allora lei diede una seconda coltellata». Alla domanda se Oseghale fece tutto da solo, il supertestimone risponde: «Il nigeriano non mi fece il nome di nessuno».

E ancora: «Mi raccontò che dopo averla fatta a pezzi  l'aveva lavata con la varechina perché così non si sarebbe saputo se era morta di overdose o assassinata»; «disse che aveva un sacco in frigo dove mettere i pezzi, ma che non ci andavano e che l'ha dovuta tagliare e l'ha messa in due valigie». Quindi chiamò un taxi, ma mentre era in auto «la moglie lo chiamava ed è andato nel panico», ha proseguito il pentito aggiungendo che Oseghale gli confidò pure che «era referente della mafia nigeriana».

Marino ha raccontato anche il loro incontro e la lite iniziale spiegando che lui e Oseghale erano detenuti a circa quattro metri di distanza. «L'otto luglio uscii dalla mia cella e vidi Oseghale di fronte alla sua cella. Gli dissi - racconta il pentito - Cornuto, pezzo di m…., che facesti?». In carcere «lo chiamavano macellaio, gli ho lanciato una bottiglia». Poi, ha continuato il pentito, fummo divisi e secondo la sua ricostruzione fu stabilito per loro due il divieto di incontro, ma, nonostante ciò, continuarono a incontrarsi. Un altro detenuto, giorni dopo, «venne a dirmi che Oseghale voleva chiarirsi, che si voleva riappacificare», ha continuato il teste spiegando che il nigeriano «parlava italiano». «Mi chiamava zio», ha aggiunto spiegando che in carcere «zio è una persona che merita rispetto nei confronti di altri detenuti».  
Un racconto ritenuto «inattendibile» dall'avvocato Simone Matraxia, uno dei legali di Oseghale ma «fondamentale» dal legale della famiglia e zio di Pamela, Marco Valerio Verni. Un racconto per altro smentito da un altro dei testimoni sentiti oggi, compagno di cella di Oseghale: «mi disse che aveva fatto a pezzi Pamela ma che non l'aveva uccisa». L'ex compagno di cella di Oseghale, Stefano Giardini, ha anche lui deposto in aula, parlando di un rapporto sessuale «consenziente» in cambio dell'aiuto a trovare una dose di eroina e la morte dopo l'iniezione di stupefacente «per overdose»: così avrebbe avrebbe raccontato Innocent Oseghale, imputato nel processo davanti alla Corte di assise di Macerata per la morte di Pamela Mastropietro, a Giardini. «Lui ha sempre negato le coltellate, lui ha detto che l'ha solo vivisezionata. Ha sempre negato di averla uccisa» e «disse che questa cosa l'ha fatta da solo», ha affermato il detenuto che divideva la cella con Oseghale ad Ascoli. «Inizialmente diede una versione che non considerammo molto veritiera», ha raccontato l'ex compagno di cella ricostruendo i primi rapporti tra gli altri detenuti e Oseghale. « Poi conoscendoci meglio si aprì e la modificò. Inizialmente disse che non aveva in nessun modo partecipato» al delitto, «attribuendo responsabilità ad altri nigeriani», ha continuato Giardini mentre poi Oseghale «disse che voleva dirci la verità».
Anche secondo questa seconda versione raccontata dall'ex compagno di cella, l'incontro tra Pamela e Oseghale avvenne ai giardini Diaz: mentre aspettava un cliente per vendergli marijuana, Oseghale «è stato avvicinato da questa ragazza, che non conosceva e gli ha chiesto di accendere una sigaretta; poi gli ha chiesto se poteva procurarle una dose di eroina», ha detto l'ex compagno di cella riferendo il racconto che gli avrebbe fatto Oseghale. Quest'ultimo, secondo la ricostruzione del detenuto, vendeva solo marijuana ma si propose di «aiutarla a trovare qualcuno» e in cambio di questo aiuto ci fu «un rapporto sessuale» con Pamela. «Oseghale fece un paio di telefonate, chiamò un suo amico che gli disse che era fuori zona e di rivolgersi a Lucky che si rese disponibile, confermò di avere la dose e si diedero appuntamento a un campo di calcio - ha riferito il teste in aula - A quel punto Oseghale e la ragazza si appartarono sotto un ponte ed ebbero un rapporto sessuale».
Successivamente, dopo l'incontro con Lucky e lo scambio di droga, ha riferito Giardini, Oseghale gli raccontò che fu Pamela a chiedergli di poter andare a casa sua in attesa dell'orario del treno per tornare a Roma e che si fermarono a un supermercato e poi a comprare una siringa. Nella casa di via Spalato poi, secondo quanto riferito dall'ex compagno di cella del nigeriano, Pamela si iniettò la dose di droga: «Oseghale disse che era abbastanza allegra all'inizio, poi sentì un tonfo: era caduta al suolo». La ragazza «respirava ma stava in una specie di catalessi, sembrava svenuta. Nel frattempo il nigeriano raccontò di aver ricevuto la chiamata di un cliente» di essere uscito e di essere rientrato a casa nel giro di «tre ore» trovando Pamela «apparentemente morta». A quel punto maturò la decisione di «sezionare il corpo».

«Sembrava più preoccupato che la compagna venisse a conoscenza dell'atto sessuale» che del resto ha aggiunto Giardini. Dopo la morte di Pamela nella casa di via Spalato, ha riferito l'ex compagno di cella di Oseghale, il nigeriano «entrò nel panico perché l'indomani doveva tornare a casa della compagna, che era ospite di una comunità e non sapeva come cancellare le tracce di questo suo tradimento. Per lui il tradimento era il problema», ha continuato raccontando le presunte confidenze dell'imputato. «Io escluderei» ha precisato che abbia fatto confidenze al pentito Vincenzo Marino «e penso che se avesse dovuto fare una confidenza l'avrebbe fatta a me».  L'ex compagno di cella è stato ascoltato anche in merito ai rapporti tra Oseghale e Marino, supertestimone dell'accusa. Giardini ha anche riferito di essersi fatto promotore di un «memoriale» di Oseghale dove si racconta la versione raccontata allo stesso teste secondo cui il nigeriano non avrebbe ucciso Pamela, che sarebbe invece morta per droga. L'ex compagno di cella ha spiegato di aver anche pensato a scrivere un libro sulla vicenda. Un libro nel quale avrebbe potuto usare i contenuti del memoriale, in inglese e italiano, di Oseghale.

Ad assistere ancora una volta a questo lungo film dell'orrore, con una maglietta con la foto di Pamela e una catenina al collo con il nome della figlia, Alessandra Verni, la mamma della 18enne romana fatta a pezzi a Macerata poco più di un anno fa. Le confidenze choc al pentito di 'ndrangheta Vincenzo Marino, quelle del compagno di cella. Occhi lucidi, accanto al fratello Marco Valerio, che è anche il suo legale, la mamma della 18enne ha ascoltato attentamente la testimonianza del collaboratore di giustizia. A pochi metri Innocent Oseghale, che sfugge lo sguardo della mamma della ragazza e, come già nella precedente udienza, guarda altrove per evitare di incrociare il suo sguardo.

E intanto presso la Procura della Repubblica di Macerata è pendente una querela contro i due automobilisti incontrati da Pamela Mastropietro dopo che si era allontanata dalla comunità Pars il 29 gennaio con l'accusa di violenza sessuale nei confronti di una persona in stato di incapacità mentale.
Lo ha reso noto il pm Stefania Ciccioli durante l'udienza in Corte d'Assise del processo a carico di Innocent Oseghale, accusato di avere ucciso la ragazza e di averne fatto a pezzi il corpo. Il primo incontrò Pamela subito dopo l'uscita dalla comunità di Corridonia e l'accompagnò alla stazione ferroviaria di Piediripa, con il secondo la 18enne romana trascorse la notte e si fece lasciare la mattina del 30 gennaio alla stazione ferroviaria di Macerata. Secondo il legale della famiglia e zio della ragazza Marco Verni, il reato è comunque perseguibile d'ufficio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA