Roma, tenta di uccidere la figlia con una puntura, la procura: «È sindrome di Munchhausen»

Roma, tenta di uccidere la figlia con una puntura, la procura: «È sindrome di Munchhausen»
Roma, tenta di uccidere la figlia con una puntura, la procura: «È sindrome di Munchhausen»
di Adelaide Pierucci
Venerdì 12 Giugno 2020, 10:07
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Probabilmente sapeva che la figlioletta in ospedale veniva monitorata a vista attraverso un sistema di videosorveglianza. Allora per tentare di ucciderla con siringhe piene di psicofarmaci aveva avuto l’accortezza di infilare la mano sotto le lenzuola. La reazione convulsa della bambina, colpita all’improvviso da spasmi, associati all’atteggiamento ambiguo della madre, invece, avevano fatto comunque scattare l’allarme. Era stata salvata così, grazie al trasferimento immediato in terapia intensiva, nel maggio dello scorso anno al policlicnico Umberto I una bambina di 8 anni ricoverata per una malattia genetica e alla quale la madre aveva somministrato, in corsia e di nascosto, una dose massiccia di Lamictal, un potente psicofarmaco antiepilettico. La mancata mamma assassina, a breve, potrebbe ritrovarsi ad affrontare un processo con l’accusa di tentato omicidio aggravato per quel gesto all’apparenza inspiegabile. Il pm Andrea Gualtieri nell’atto di conclusione delle indagini ha, infatti, escluso giustificazioni per la donna, a partire da quello mentale e sottolineato la potenzialità letale dell’overdose del farmaco.

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Le azioni compiute dall’imputata sono state ritenute, si legge nell’atto di incolpazione, «idonee a cagionare la morte della bambina, evento non verificatosi solo grazie al tempestivo intervento dei sanitari in servizio». L’episodio si era verificato la sera dell’8 maggio nel reparto Pediatrico dell’Umberto I. La donna, una trentenne sposata con un ufficiale delle forze armate, però era stata arrestata due mesi dopo, all’inizio di luglio, in seguito agli accertamenti investigativi voluti dal pm Vittorio Pilla, allora titolare dell’inchiesta. L’imputata, però, ora relegata ai domiciliari dopo un periodo nel carcere di Rebibbia, ha sempre respinto le accuse. «Ho sempre curato la mia bambina con la massima attenzione. Perché avrei dovuta ucciderla?», ha ripetuto più volte.

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Sotto le lenzuola i medici avevano recuperato una sola siringa, tra l’altro a quanto pare mai repertata e sequestrata, con la quale la donna, come dedotto dagli accertamenti biologici successivi, avrebbe sottoposto la piccola a più iniezioni. Gli strascichi sulla salute sono stati gravi, tanto che la bambina ha dovuto subire cure mirate per altri quaranta giorni. Il perito nominato dalla procura ha attestato che l’overdose di psicofarmaci avrebbe provocato nella bambina prima uno stato febbrile, gravi sintomi neurologici, e cardiologici, ma anche successivamente perdite di coscienza, alternati a stati soporiferi o di agitazione. Durante la convalida dell’arresto la donna aveva sostenuto che gli infermieri avevano frainteso il suo atteggiamento. «Avevo le mani sotto le lenzuola, ma solo per fare le coccole alla mia bambina», si è giustificata. Per i difensori, gli avvocati Savino Guglielmi e Francesca Rossi, anche i valori anomali avrebbero una spiegazione: la malattia genetica fa schizzare i livelli di alcune sostanze nel corpo del malato.

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Per la difesa non ci sarebbe infine un movente: la donna non avrebbe avuto motivo per uccidere la bambina, sua figlia. La procura però non esclude che la donna soffra della sindrome di ‘’Münchhausen’’ un disturbo psicologico che porterebbe le persone colpite a fingere una malattia o un trauma psicologico, come in questo caso, per attirare attenzione.

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