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Roghi tossici smaltiti dai rom, nell'inchiesta spuntano i Seferovic: bruciarono 3 sorelline in un camper

di Michela Allegri
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 16 Gennaio 2019, 09:00
3 Minuti di Lettura

Prima lo scippo in danno della studentessa cinese Zhang Yao, travolta da un treno mentre inseguiva i rapinatori. Poi, l'omicidio che nel 2017 ha scosso la Capitale: la strage di Centocelle, l'agguato incendiario in cui rimasero uccise le tre sorelline rom Elisabeth, Angelica e Francesca Halilovic, di 20, 8 e 4 anni, intrappolate nel camper di famiglia dato alle fiamme in piena notte. Ora, il nome dei componenti della famiglia Seferovic torna nell'ultima maxi inchiesta della Procura di Roma: quella sui roghi tossici nei campi nomadi e sullo smaltimento illegale di rifiuti.

Sorelline arse vive a Roma, l'intercettazione choc: «Si sono sciolte come una candela»
 



Per Renato Seferovic, 22 anni, che nel maggio 2017 aveva lanciato una moltov contro la ruolotte in cui dormiva la famiglia Haliloc, il gip ha disposto il carcere. Ma è latitante dalla settimana successiva all'omicidio di Centocelle. Ha seguito il consiglio dei genitori, Ejub e Zelena Seferovic, che lo avevano invitato a fuggire: «Dovresti anche farti una plastica facciale per non essere riconosciuto... Le telecamere vi hanno visto lì, ma se andavate verso l'ospedale non potevano dirvi niente». Per la Procura, i responsabili dell'agguato del 2017 sono Renato e i fratelli Romano, Jonson e Serif, già condannato per la rapina in danno della studentessa cinese e a processo davanti alla corte d'assise per l'omicidio. L'unica condanna per il rogo di Centocelle, per ora, è quella di Vicola Lizabeta, moglie di Romano Seferovic. Intanto in Procura è stato aperto un fascicolo parallelo d'inchiesta: sul registro degli indagati è finito il padre delle vittime, Romano Halilovic, con l'accusa di tentata estorsione. L'ipotesi, infatti, è che il rogo fosse una vendetta per le sue prepotenze: nel campo di via Salviati, avrebbe chiesto una sorta di pizzo per non rendere la vita impossibile ai componenti delle altre famiglie.

IL BUSINESS ILLEGALE
Ora Renato è indagato con alcuni parenti per avere gestito il business illegale del traffico di rifiuti pericolosi, fingendosi titolare di una ditta edile. In soli quattro mesi, specifica il gip, «ha effettuato 46 trasporti di rifiuti metallici, conferendoli alla Mcr per un quantitativo complessivo di 44.815 kg». La Mcr è la ditta che gestisce l'autodemolitore finito ieri sotto sequestro: i titolari acquistavano dai rom dei campi di via Salviati e della Barbuta scarti metallici da rivendere. Rifiuti già trattati, risparmiando quindi sui costi di regolare smaltimento: l'operazione veniva effettuata direttamente negli insediamenti, dove le parti non utili - e tossiche - venivano date alle fiamme.
Nell'ordinanza, il gip ripercorre i precedenti penali dei vari componenti della famiglia coinvolti nell'indagine: Ejub Seferovic, classe 1974, «è stato più volte condannato per ricettazione, resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento»; Bajro «ha riportato condanne per furto e abbandono di minori»; Serbo «risulta condannato per furto tentato e per il delitto di gara in velocità con veicoli a motore, in due occasioni ha avuto la sospensione condizionale della pena». Renato, latitante in Bosnia, «risulta condannato per furto, con sospensione condizionale della pena». Nei suoi confronti, sottolinea il giudice, «risulta peraltro emesso un provvedimento cautelare internazionale, non ancora eseguito, per un gravissimo delitto»: l'omicidio delle sorelline Halilovic.
 

APPROFONDIMENTI
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