Roma, alberi killer e parchi sbarrati tra incuria e flop dei controlli

Pino crollato a viale Mazzini
Pino crollato a viale Mazzini
di Lorenzo De Cicco
Domenica 23 Giugno 2019, 00:43 - Ultimo agg. 24 Giugno, 00:58
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Chissà se ora ci sarà un annuncio roboante: evviva, dopo due anni di nulla si è riusciti ad assegnare un appalto per potare gli alberi. Evento eccezionale, per un’amministrazione comunale. Tant’è. Dopo 26 mesi (26...) di lungaggini e rimandi, uno strafalcione burocratico dopo l’altro, il 19 giugno scorso il Campidoglio ce l’ha fatta: è stata assegnata la commessa da oltre 4 milioni per potare pini e platani, quelli che proprio per l’assenza di manutenzione hanno preso a schiantarsi su strade e marciapiedi dell’Urbe a un ritmo mai visto prima. L’appalto era stato sfornato ad aprile del 2017. Insomma, un’aggiudicazione in tempi record.

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LE CIFRE
Nel frattempo sono precipitate quasi 700 piante. E altre 5mila sarebbero da «sorvegliare», perché «prossime al fine vita», come hanno scritto gli agronomi nelle schede consegnate al dipartimento Ambiente del Comune. Dal 30 maggio scorso, invece, nessuno le controlla. Cioè l’appalto per il monitoraggio e la sorveglianza delle alberature, assegnato nell’autunno di due anni fa, è scaduto. E il Comune non ha trovato il modo di rinnovarlo. Risultato: «I tecnici delle ditte dei controlli hanno certificato che 5mila alberi sono da tenere sotto stretta sorveglianza perché potenzialmente rischiosi nei prossimi mesi, ma senza appalto nessuno verificherà», spiega Mauro Mannocchi di Assartigiani, organizzazione che raggruppa 42 aziende del verde di Roma. Altri 4mila alberi sono considerati già marci, insomma «da abbattere», e ora, si spera, se ne occuperanno gli operai delle imprese appena reclutate, dopo tanta tribolazione. Sempre che non cadano prima, da soli, come il gigantesco pino che a febbraio si è sfracellato sulle auto di viale Mazzini, causando due feriti. «Andava abbattuto da tempo», ha raccontato Franco Milito, l’agronomo che lo aveva controllato per conto del Comune, mesi prima. 

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IL CONFRONTO
Qualche numero: nel 2014 a Roma erano caduti 12 tronchi, in tutta la città. L’anno dopo, il 2015, ne sono venuti giù 32, poi 48 nel 2016 e altri 41 nel 2017. Nel 2018, la strage: quasi 400 crolli. Un aumento del 730% negli anni di Raggi. E altri 200 fusti si sono schiantati solo nei primi mesi del 2019. Un motivo naturalmente c’è: se non fai manutenzione, specie se gli alberi sono piuttosto vecchi, come nel caso di Roma, gli incidenti arrivano a cascata. La cura – o meglio, l’incuria – del verde pubblico nella città con più piante e vegetazione d’Europa (44 milioni di metri quadri), è uno dei simboli del fallimento di Virginia Raggi. E di come la farraginosità di un’amministrazione possa far precipitare le cose, letteralmente, nel volgere di qualche anno. 





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A fine ottobre 2018, per la prima volta, le scuole di Roma hanno chiuso «per vento»: troppo alto il rischio che gli alberi venissero giù. A fine febbraio, la sindaca ha chiuso di nuovo i grandi parchi. Ovviamente finora ha dato la colpa alle precedenti amministrazioni («durante il periodo di Mafia Capitale si è fatto finta di nulla») e ha riavvolto il nastro fino al Ventennio, dichiarando guerra agli alberi «piantati durante il regime fascista» e annunciando un piano da 100 milioni per abbattimenti di massa delle piante più datate. Con quali soldi? Del governo. Che per ora non ha risposto, ma c’è il solito tavolo tecnico. 

PARERI “A OCCHIO”
Finora si è andati al risparmio. Per controllare lo stato di salute dei 14mila alberi delle grandi ville, il Comune ha stanziato 28mila euro. Due euro a controllo. Pareri “a occhio”, anche se avrebbero dovuto testare la «tenuta strutturale» delle piante. Altro paradosso: quando i soldi ci sono, non si riesce a spenderli. Da quattro mesi sono scaduti i termini per le offerte per riqualificare i grandi parchi come Villa Borghese e Villa Pamphilj, ma gli appalti non sono mai stati assegnati. 
Stesso discorso per i nuovi giardinieri di cui il Campidoglio ha un bisogno disperato, considerato che il Servizio Giardini, dopo anni di tagli (al personale), è rimasto con 300 addetti scarsi. E così si è pensato di arruolarne altri 71. Data l’urgenza, si è scelta la via più breve, il reclutamento con i centri per l’impiego, anziché un concorsone. Ma su 138 candidati solo in 36 hanno superato la prova di abilità. La metà di quelli che servivano. Al timone del dipartimento Ambiente del Comune è appena arrivato un generale (prima c’era una veterinaria...), ma sono le truppe che scarseggiano. 

 

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