Roma, 2 miliardi di vecchi debiti: tegola sul bilancio. L’allarme del commissario per la chiusura della “bad bank”

Roma, 2 miliardi di vecchi debiti: tegola sul bilancio
Roma, 2 miliardi di vecchi debiti: tegola sul bilancio
di Andrea Bassi
Sabato 18 Settembre 2021, 00:13 - Ultimo agg. 12:30
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Come la polvere messa sotto un tappeto che prima o poi è destinata a venire di nuovo fuori, così il vecchio debito del Comune di Roma “segregato” nella gestione commissariale, la bad bank pubblica, bussa di nuovo alla porta del Campidoglio. A fine anno circa 2 miliardi del vecchio passivo, i cui destini si erano separati da quelli del Comune nel 2008, torneranno ad essere un problema esclusivo del Campidoglio e del nuovo sindaco. A spiegarlo nella sua relazione inviata a Palazzo Chigi e al Parlamento, è il commissario straordinario Alessandro Beltrami. «Tutti i debiti per i quali i competenti uffici capitolini non presenteranno una valida istanza di liquidazione entro il 31 dicembre 2021 ritorneranno nella competenza di Roma Capitale».

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Il punto è che, complice anche il lavoro a ranghi ridotti dello scorso anno del Campidoglio a causa della pandemia, l’ammontare dei debiti non ancora “accertati” dal Comune è rimasto elevato: quasi 2 miliardi di euro (1,92 miliardi per l’esattezza).

Dentro questa massa passiva ci sono parte del miliardo di euro dei vecchi espropri, alcuni dei quali risalgono addirittura agli anni sessanta. Ma ci sono anche quasi 600 milioni di contenzioso, compresi i debiti fuori bilancio, debiti cioè per i quali c’è un creditore ma che non risultavano nelle scritture contabili. Nel vecchio debito di Roma c’è un po’ la storia politica della stessa città.

Ci sono, o meglio c’erano, ben 1.500 mutui. I debiti vanno, come detto, dagli espropri per i terreni per le Olimpiadi del 1960, con la costruzione per esempio, del villaggio Olimpico, fino alle opere del Giubileo del 2000. Qual è il problema? A spiegarlo, sempre nella stessa relazione, è ancora il commissario straordinario Beltrami. «L’impatto sul bilancio capitolino», scrive, «risulta aggravato dalla circostanza che tali debiti rientreranno sprovvisti delle tutele previste dalla normativa vigente per la gestione commissariale». 

LO SCUDO

Di che tutele si tratta è presto detto. Se il debito è affidato al commissario, per esempio, i creditori non possono effettuare pignoramenti. Non solo. Vengono congelate tutti gli interessi passivi e le rivalutazioni monetarie alla data di dichiarazione del dissesto (il 3 luglio del 2008). Se i debiti torneranno al Comune, la rivalutazione riprenderà ora per allora, ossia il conteggio sia degli interessi che l’adeguamento al costo del denaro dovranno essere effettuati anche per gli anni che vanno dal 2008 a oggi. Ed ancora. Il commissario ha la possibilità di transare, di fare cioè offerte economiche ai creditori che riducano l’ammontare di quanto richiesto. Mediamente questi “sconti” sono nell’ordine del 14-15 per cento. Sconti che il Comune non potrà invece proporre. 

L’ALTRA PARTITA

Ma c’è anche un’altra partita che riguarda il vecchio debito del Comune di Roma e che potrebbe avere impatti sul bilancio del Campidoglio: la definitiva chiusura della gestione commissariale. Entro la fine di quest’anno dovrà essere definita la massa passiva che fa capo al commissario straordinario. Questo importo finale sarà “certificato” da un decreto del presidente del Consiglio che dovrà dire anche quanto tempo avrà la gestione per ripagare i debiti e contestualmente decretarne la chiusura. 

Il margine temporale per completare questa fase, secondo gli esperti, dovrebbe oscillare tra i 12 e i 18 mesi. Il punto è che, a parte il debito “commerciale”, c’è anche un pezzo del debito finanziario che potrebbe tornare nel bilancio del Campidoglio. Lo Stato, infatti, del vecchio debito finanziario di Roma si è accollato quasi tutto: sia la vecchia obbligazione del Comune da 3,6 miliardi (compresi gli interessi) sia tutti i mutui con la Cassa depositi e prestiti. Si è accollato quasi tutto, ma non tutto. 

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Restano circa 2,5 miliardi di euro di debiti verso le banche private, il grosso nei confronti di Intesa e Dexia. Gli istituti di credito hanno rifiutato la rinegoziazione con il commissario e, dunque, lo Stato non ha potuto accollarseli. Questi debiti, se nel frattempo non accade qualcosa, torneranno al Comune alla chiusura della “bad bank”. Questo debito, spiega ancora la relazione del Commissario, «tornerà in capo a Roma Capitale, andando quindi a incidere sul limite di indebitamento dell’amministrazione capitolina da cui oggi è escluso, con potenziali impatti sulla capacità di investimento».

In realtà, quando l’operazione di “accollo” da parte dello Stato del debito di Roma fu costruita, lo scopo era un altro. Per ripagare il vecchio passivo della Capitale servono 500 milioni di euro l’anno. Di questi 300 milioni ce li mette il Tesoro, e altri 200 milioni gli stessi romani che pagano una sovrattassa sull’Irpef dello 0,4%. L’obiettivo della “ristrutturazione” era proprio quello di cancellare il balzello sui romani. Ma l’obiettivo, almeno a leggere la relazione del commissario al debito, sembra allontanarsi. 
 

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