Roma, uomo ucciso sul Tevere, il clochard Galioto fermato come 4 anni fa. Ma lui si difende: «Ero lì per caso»

Roma, uomo ucciso sul Tevere, il clochard Galioto fermato come 4 anni fa. Ma lui si difende: «Ero lì per caso»
di Michela Allegri e Alessia Marani
Venerdì 8 Maggio 2020, 09:26 - Ultimo agg. 09:28
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Come se nulla fosse. Quando ieri sera Massimo Galioto è stato fermato dagli agenti delle Volanti e del commissariato Trevi è caduto dalle nuvole. Forse ha interpretato il copione già utilizzato quando quattro anni fa venne accusato di avere ucciso il giovane studente americano Beau Solomon, spingendolo nel Tevere: «Io non c'entro niente, stavo solo passeggiando col mio cane». Per il fattaccio dell'epoca venne assolto in Corte d'Assise al termine di un infuocato dibattito giudiziario «per non avere commesso il fatto». Intanto, però, anche questa volta è finito in manette. Per gli agenti è lui che nel tardo pomeriggio di ieri si è scagliato a mani nude contro un altro clochard sulla banchina del fiume, a Ponte Sisto, ammazzandolo di botte. E il suo cane, l'unico amico inseparabile, avrebbe azzannato il poveretto sul volto.

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LA STRADA
Figlio di commercianti, Galioto, 45 anni, non ne aveva mai voluto sapere di una vita borghese. Capelli rasta, gli anfibi ai piedi, dopo essersi improvvisato designer di papillon realizzati con le camere d'aria degli pneumatici, era finito per strada. Il suo giaciglio, una tenda sulla banchina del Tevere. Tornato in libertà, aveva subito incassato un nuovo arresto per spaccio di hashish a Trastevere e una denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale per avere insultato i carabinieri che gli avevano chiesto i documenti per un controllo in piazza Trilussa. Lui, il vino, le sigarette e il suo cane. Il punkabbestia era tornato a frequentare i suoi luoghi: il Tevere, le stradine all'ombra della statua del Belli e le piazze di Monteverde. I più attenti alla cronaca lo avevano riconosciuto mentre, ciondoloni sul marciapiede, chiedeva l'elemosina di fronte la farmacia di piazza San Giovanni di Dio, o sostava sulle panchine dei malandati giardinetti di fronte al Ministero dell'Istruzione in viale Trastevere.
Contestatore del mondo («non voglio finire impiegato o sottoccupato, tornerò a vivere in strada», aveva ribadito alla fine del processo) per i pm Nadia Plastina e Gennaro Varone, Galioto era un assassino. Il 22 giugno 2019, la sentenza era arrivata dopo quattro ore di camera di consiglio. La procura aveva chiesto l'ergastolo, ma la III Corte d'assise aveva assolto Galioto per non avere commesso il fatto: per i giudici non sarebbe stato lui a uccidere il diciannovenne americano, che studiava alla John Cabot University e che era appena arrivato nella Capitale. Secondo i pm, che hanno impugnato quella decisione, il punkabbestia avrebbe avuto un violento litigio con Solomon, che era ubriaco. Gli avrebbe dato due calci e poi lo avrebbe spinto nel fiume. Il clochard era stato arrestato il 7 luglio 2016.
 
 


I FILMATI
A incastrarlo, per l'accusa, i filmati delle telecamere di sorveglianza puntate sul lungotevere e le dichiarazioni della fidanzata dell'epoca, Alessia Pennacchioli, che aveva raccontato di avere visto il compagno discutere con il giovane, colpirlo con un calcio, lanciargli una pietra e farlo cadere in acqua. Contestazioni che il senzatetto, assistito dall'avvocato Michele Vincelli, ha sempre respinto. Dopo 5 mesi, però, il gip aveva disposto la scarcerazione: le dichiarazioni della donna erano state giudicate «non sempre coerenti» e a tratti «lacunose». La Pennacchioli, affetta da forte miopia, «indossava occhiali rotti», aveva sottolineato il gip. Una situazione che poteva averla portata a non avere percepito, «in condizioni di scarsa illuminazione e a diversi metri di distanza», e per giunta interrompendo «un breve sonno indotto dall'assunzione di psicofarmaci», la presenza di «più attori» sulla scena. Anche i fotogrammi del filmato non erano bastati per condannare Galioto: le immagini erano troppo sfocate. Nell'atto d'appello, però, i pm sottolineavano che Galioto fosse l'omicida, «al di là di ogni ragionevole dubbio». E la prova stava in un dialogo tra lui e la Pennacchioli, intercettato in questura poco dopo il fermo: «Confessa, perché ci sono le telecamere di sicurezza», diceva lei. E lui: «Non hanno nulla, se no già stavamo dentro». Il processo d'appello è ancora in corso: è stato rinviato a ottobre.

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