Roma, vaccini anche in metro. La Regione segue il modello New York

Roma, vaccini anche in metro. La Regione segue il modello New York
Roma, vaccini anche in metro. La Regione segue il modello New York
di Ernesto Menicucci
Lunedì 7 Giugno 2021, 23:24 - Ultimo agg. 9 Giugno, 10:07
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C’è chi, in Regione, lo chiama «l’avvio della fase due» o «della fase tre» dei vaccini. Quella in cui si uscirà dal carattere emergenziale dovuto alla pandemia e si passerà ad una gestione “ordinaria” del Covid (che, è bene dirlo, secondo gli esperti non sparirà del tutto) trattato come un’influenza – più virulenta, ovviamente – di stagione. E quindi con una campagna di vaccinazione ancora più diffusa, e capillare, sempre meno legata ai grandi hub e sempre più a piccoli centri vaccinali, ramificati e sparsi nella città. 

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Modello “Grande Mela”

In quest’ottica, l’ultimo progetto su cui sta lavorando l’assessore Alessio D’Amato, mutua quello impostato in America: «Roma – dice con una battuta il responsabile regionale alla Sanità – sarà come New York». Sarebbe a dire? «Con i vaccini che si potranno fare in metropolitana». Che non vuol dire, naturalmente, a bordo di un treno in corsa, magari pieno di gente. Ma significa che lungo i tracciati delle linee A e B della metropolitana verranno creati diversi poli vaccinali, per facilitare il più possibile il passaggi successivi della campagna.
Il piano, a via Cristoforo Colombo, è già pronto. E partirà, al più tardi, entro l’estate ma magari già con delle forme di sperimentazione già a luglio. In un primo step, ad essere coinvolte saranno le stazioni dei principali nodi di scambio: Ponte Mammolo e Laurentina sul tracciato della linea B, Subaugusta, Anagnina e Battistini su quello della linea A. E poi, magari quando chiuderà l’hub al momento attivo all’interno, anche Termini, incrocio tra metro, treni, bus. 
Sono, in assoluto, tra le stazioni con più affluenza giornaliera, quelle in cui affluiscono – in buona parte almeno – anche i pendolari che vengono a lavorare nella Capitale partendo dall’hinterland: il treno dalla località in cui vivono, la metro per andare al lavoro.

E magari, in una pausa, ci si vaccina anche. Il modello studiato, come detto, è quello americano della “Grande Mela” newyorkese dove già un mese fa (era la metà di maggio) in otto stazioni della Subway è stato possibile vaccinarsi «al volo» utilizzando il monodose Johnson&Johnson. Quello americano, però, era un progetto sperimentale, della durata di tre giorni. Quello romano, dopo ovviamente i primi tentativi per capire anche la risposta dei cittadini, potrebbe persino diventare un modello permanente, che andrebbe ad affiancare le prenotazioni dai medici di base e/o dai pediatri (queste ultime per i bambini dai 12 ai 16 anni).


Le ipotesi in campo

Allo studio, ma con una sorta di joint venture con Atac, c’è anche l’idea di importare in toto l’esperienza americana, incentivando i passeggeri a vaccinarsi in metro offrendo in omaggio due biglietti o un carnet di ticket per la linea di trasporto pubblico capitolino: negli Stati Uniti (dove in regalo veniva dato un abbonamento settimanale) l’idea è piaciuta e nella Capitale si sta valutando se e come riproporla. Perché, poi, alla fine è anche questa la filosofia del “modello Lazio” che sicuramente ha funzionato rispetto al resto d’Italia: mutuare le “best practice” degli altri paesi (vedi il sistema di fasce d’età, almeno per tutta la prma fase, importato da Israele) e applicarle. Perché, alla fine, la battaglia contro il Covid non si vince da soli.
 

 

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