Terremoti, il caso Roma: accerchiata dalle scosse

Terremoti, il caso Roma: accerchiata dalle scosse
Terremoti, il caso Roma: accerchiata dalle scosse
Martedì 12 Maggio 2020, 08:53
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IL FOCUS
ROMA «Questa scossa è la dimostrazione che l'Italia centrale è un sistema che scricchiola continuamente, sottoposto a movimenti della crosta terrestre nell'ordine di qualche millimetro all'anno». Per Carlo Doglioni, geologo che dal 2016 dirige l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, la scossa registrata nell'area attorno a Fonte Nuova, poco ad est della Capitale, «non è una vera anomalia». L'episodio sismico da 3.3 di magnitudo verificatosi ieri mattina alle 5 ad appena 10 chilometri di profondità, sarebbe l'ultimo di una sorta di sequenza che interessa l'Italia centrale da sempre.
La suggestione però è che negli ultimi anni attorno alla Capitale si stia stringendo un accerchiamento proveniente dall'Appennino che, soprattutto nella parte più elevata, è noto per essere una catena montuosa molto sismica e ad alta pericolosità. In quell'area infatti, solo a considerare le scosse più forti con una magnitudo superiore a 5, si contano prima la tragedia de L'Aquila nel 2009, poi la sequenza di Amatrice, Norcia e Visso del 2016 e, infine, la triste replica del 2017. Vale a dire quando quattro scosse importanti interessarono più o meno la stessa area abruzzese colpita 8 anni prima. Episodi che, in qualche modo, hanno tutti avuto delle ripercussioni proprio sulla Capitale che «risente della sismicità di quel territorio».
In realtà, come spiega Doglioni, «Terremoti come questo di lunedì sono molto frequenti. Ce ne sono almeno 200 l'anno, in media più di uno ogni due giorni». Oltre alla scossa di ieri, ad esempio, nell'area attorno a Roma il 23 giugno del 2019 si è verificata una scossa che ad identica profondità - 11 chilometri - ha sviluppato una magnitudine pari a 3.6 con epicentro nella zona dei Castelli. E ancora, risalendo al 30 dicembre del 2018, un altro episodio simile (3.2 di magnitudo e 10 chilometri di profondità) ha interessato Gallicano, una manciata di chilometri a est di Roma e a sud di Tivoli. Il sussulto che ieri ha svegliato i romani poco prima dell'alba quindi non è un'anomalia per il Lazio ma è indicativa. La terra è un sistema vivo e gli spostamenti delle placche ne sono la dimostrazione. «L'Appennino - dice il geologo - è in continua estensione e ha bisogno di queste scosse per accompagnare il movimento della catena montuosa». Tuttavia una differenza rispetto alla normale sismicità dell'area c'è. Il terremoto di Fonte Nuova è stato classificato come di tipo trascorrente e quindi è diverso dal solito. Una versione quasi inedita per le nostre latitudini abituate a movimenti cosiddetti estensionali ma molto comune in aree come l'Anatolia in Turchia o, in California, lungo la faglia di San Andreas. «La crosta si è mossa orizzontalmente e non dall'alto verso il basso come quelli degli ultimi anni» spiega Doglioni che sottolinea però come queste scosse non siano di per sé pericolose ma servono a «non dimenticarsi dei rischi naturali». In Italia ogni «4 o 5 anni» ci sono terremoti che causano dei danni di diversa intensità. «Quello di stanotte (ieri ndr) è durato appena pochi secondi che non sono nulla in confronto alla scossa del 2016 ad esempio». In quell'occasione l'episodio sismico con epicentro nei pressi di Norcia, poco più di 100 chilometri da Roma, durò oltre 20 secondi e sviluppò una magnitudine di 6.5. «Stiamo parlando di una scossa 30mila volte più energetica rispetto a quella dell'11 maggio - spiega - e, per quanto sia impossibile fare previsioni, questa va considerata una spia della naturalità che deve essere conosciuta e rispettata per conviverci».
PERICOLOSITÀ BASSA
Attorno alla Capitale infatti si dispiega un'area molto attiva estesa verso est. Vale a dire proprio la zona interessata dalla scossa di Fonte Nuova. «Però per quanto ne sappiamo - dice - i volumi determinati dalla lunghezza della faglia che si sviluppa lungo quell'area, possono liberare solo magnitudo piuttosto basse». Roma non a caso ha di per sé una pericolosità sismica considerata mediamente più bassa del resto dell'Appennino. Tuttavia «non si possono escludere terremoti con magnitudo capaci di fare danni - continua - nei dintorni della Città in passato ne sono stati registrati anche con intensità pari a cinque».
Il punto dolente però, come tiene a sottolineare il presidente dell' Ingv, non è costituito dalla magnitudo delle scosse registrate ma dal fatto che «Roma non ha un'edilizia antisismica». Cioè non è dotata «dell'unico strumento che ha a disposizione per convivere con la natura del suo territorio e con le scosse più forti provenienti dal centro Italia». Non a caso, negli anni sono molti i terremoti dell'area abruzzese che hanno lasciato segni nella Capitale. «Nel 1349 - conclude Doglioni - una scossa localizzata al confine con l'Abruzzo fece addirittura crollare alcune parti del Colosseo e uccise molte persone proprio mentre imperversava una pandemia, la peste».
Francesco Malfetano
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