CrimiNapoli / 15 Quando la camorra usava le autobombe come la mafia: i due attentati choc

CrimiNapoli / 15 Quando la camorra usava le autobombe come la mafia: i due attentati choc
di Gigi Di Fiore
Venerdì 28 Gennaio 2022, 11:52 - Ultimo agg. 21:15
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Veniva definito “il Cutolo fuori dal carcere”. Era stato l’uomo di cui il boss e fondatore della nuova camorra organizzata più si fidava. L’esecutore fedele, vicino anche a Rosetta Cutolo, la sorella del capoclan detenuto. Nelle gerarchie dell’organizzazione camorristica cutoliana, Enzo Casillo era inserito in posizione di vertice. Era un “santista”, secondo la definizione della Nco, organizzazione mafioso-camorristica che riprendeva i rituali e le terminologie della ’ndrangheta calabrese a cui Cutolo si ispirava. Era Enzo Casillo, soprattutto alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, a guidare la Nco in stretto contatto con il capo detenuto e con la sorella Rosetta. La sua fine violenta segnò davvero la sconfitta dei cutoliani nella guerra contro i gruppi contrapposti della nuova famiglia.

L’autobomba

Fu un attentato eclatante, di quelli che dovevano dare un segnale definitivo e stroncare ogni possibile ulteriore reazione dei cutoliani. Casillo viveva più a Roma che in Campania, dopo la trattativa del caso Cirillo. Gli era stato assegnato persino un tesserino dei servizi segreti, che risaliva ai giorni dei contatti con politici e esponenti istituzionali legati al tentativo della Dc di ottenere da Cutolo una mediazione con i brigatisti rossi per far liberare l’assessore regionale campano Ciro Cirillo rapito dalla colonna napoletana dei terroristi. Nel carcere di Ascoli, dove Cutolo era detenuto, Casillo entrò spesso con esponenti dei servizi segreti e politici. E mostrava il falso tesserino dei servizi segreti. Il boss avrebbe dovuto aiutare la Dc, contattando i brigatisti o altri terroristi detenuti per trovare strade utili a far liberare Cirillo. In cambio, ne avrebbe ricavato favori, perizie benevole per una scarcerazione anticipata, subappalti concessi alle ditte a lui vicine nella ricostruzione del dopo-terremoto del 1980. Era il 1981, in quella trattativa Enzo Casillo ebbe un ruolo importante e conosceva gran parte del contenuto dei colloqui anomali che si erano tenuti in carcere. Qualcuno l’aveva anche descritto il giornalista Joe Marrazzo, che aveva utilizzato proprio Casillo, chiamato anche ‘o nirone per la sua carnagione scura, come sua fonte principale per scrivere il suo famoso libro “Il camorrista”.

La Nf decise di farla finita con i cutoliani, probabilmente gli interessi a tappare la bocca al braccio destro di Cutolo erano molti e coincidenti. Compresi quelli legati alla necessità di tenere segreto come si erano svolte le trattative per liberare Ciro Cirillo. Il 29 gennaio del 1983 fu il giorno fatale per Casillo. Insieme con il guardaspalla Mario Cuomo, scese dal suo appartamento romano in via Gregorio VII a poca distanza dalla sede del Sismi, entrò nella sua Golf Wolswagen nera, inserì le chiavi nel cruscotto. Non ebbe il tempo di accorgersi di nulla. Una potente bomba, collocata sotto l’auto, lo fece saltare in aria. Il suo corpo si fece a brandelli. Chissà come, Cuomo riuscì a scampare all’attentato, ma ne uscì con le gambe spappolate, costretto a vivere su una sedia a rotelle. Sarebbe stato poi ucciso nel 1991, nella sua casa al centro di Napoli. Fu Pasquale Galasso, ormai collaboratore di giustizia, ex esponente di rilievo nel direttivo di vertice del clan di Carmine Alfieri, a raccontare i dettagli di quell’attentato.

Dichiarò ai magistrati: “Mettemmo nella notte 400 grammi del potente esplosivo T4 sotto l’auto, poi lo collegammo ad un congegno poco distante. Quando ‘o nirone scese, azionammo il dispositivo”.

 

Il botto fu spaventoso, avvertito in tutta la zona. L'esplosione mise a rischio anche chi abitava nei palazzi tutt’attorno. Per preparare l’attentato, Galasso raccontò di essersi trasferito per qualche giorno a Roma con altri affiliati del clan Alfieri. In tutto, il commando era, sempre secondo la ricostruzione del pentito, composto da nove persone. Anche la camorra, quella spietata e senza scrupoli, dunque utilizzava le auto bomba per colpire gli avversari.

L'esplosione al rione Sanità

Quindici anni dopo, altri clan, altre guerre e un’autobomba nel cuore di Napoli. Il quartiere Sanità, quello pieno di storia e contraddizioni, teatro anche delle attività di una serie di clan camorristici violenti, luogo che fa da scenario al prossimo film di Mario Martone ispirato al libro di Ermanno Rea “Nostalgia”. Era il 1998, quando esplose la guerra tra i clan Vastarella-Tolomelli, legati ai gruppi di Secondigliano, contrapposti ai Misso-Pirozzi. Il primo a cadere in un agguato era stato Luigi Vastarella, ucciso nel maggio del 1998. Era scampato a un precedente attentato appena un mese prima a vico Trone nel quartiere Materdei, dove era stato deciso di utilizzare un’autobomba. Per una fortuita combinazione, il micidiale congegno non venne attivato per il contemporaneo arrivo di una donna con un passeggino.

Il due ottobre del 1998, un’altra tremenda puntata di quella guerra. Ancora un’autobomba. In via Cristallini, nel cuore del quartiere Sanità. Fu piazzata dinanzi un circolo ricreativo frequentato da Giulio Pirozzi e i suoi amici. Una Fiat uno di colore beige venne imbottita di tritolo. Il quartiere tremò, il cuore di Napoli come Beirut. Un boato enorme, il panico. Il bilancio dell’esplosione fu di tredici feriti, tra cui il quattordicenne Giuseppe Boccacciari. La bomba era stata azionata da un congegno a distanza. L’obiettivo doveva essere Pirozzi, che riuscì a scampare perché si era allontanato dal circolo solo pochi minuti prima. Per la seconda volta era riuscito a evitare la morte. Era già successo sei anni prima, quando i clan di Secondigliano non riuscirono a ucciderlo nell’agguato organizzato fuori l’autostrada Napoli-Roma in cui fu invece ammazzata, con un colpo di pistola in bocca, Assunta Sarno, la moglie del capoclan Giuseppe Misso.

Quasi tutti i feriti dell’autobomba di via Cristallini non c’entravano nulla con i clan e la guerra di camorra alla Sanità. Boccacciari, rimasto ferito alla gamba sinistra, giocava a calcio nel vivaio della Roma a San Giovanni a Teduccio. Il padre era un venditore ambulante, la mamma lavorava in una ditta di pulizie. Dichiarò in ospedale la sua paura, accompagnata da una richiesta di aiuto per la gente del quartiere: “Ho paura a camminare per le strade della Sanità. Si potrebbe fare tanto per il mio quartiere, dove abita tanta brava gente”. 

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