Donne vittime e donne che si sono opposte all’arroganza e alla violenza della criminalità. Quando si avvicina l’otto marzo è giusto ricordarne almeno quattro, tra le tante che hanno avuto coraggio, o hanno perso la vita, per vicende legate alla camorra e alla criminalità.
Come Teresa Buonocore, medaglia d’oro al merito civile alla memoria nel 2017 per decisione del presidente Sergio Mattarella, su cui il giudice Carlo Spagna, che è stato il presidente della Corte d’Assise che ha condannato gli assassini, ha scritto un bel libro-ricordo. Una donna vittima di criminali, che non hanno esitato a deciderne la morte colpendo il suo coraggio.
Teresa, segretaria di un avvocato penalista e poi dipendente di un’agenzia di viaggi, era di Portici ma lavorava a Napoli.
«Con coraggiosa fermezza, pur consapevole dei rischi cui si esponeva, denunciava, per le violenze perpetrate ai danni della propria figlioletta e di un’altra bambina, un vicino di casa, noto pregiudicato…Nobile esempio di straordinario amore materno e di eccezionali virtù civiche, spinte fino all'estremo sacrificio», dice la motivazione della medaglia d’oro attribuita alla memoria dal capo dello Stato alla mamma-coraggio. Anche Teresa Buonocore sarà ricordata il 21 marzo nella giornata nazionale di Libera sulle vittime della criminalità organizzata, che quest’anno si terrà a Napoli.
Pubblico ministero
«Presidente, non ce l’ho con le donne, ma per processare uno come Cutolo ci voleva il procuratore generale o almeno il sostituto che ha fatto le indagini Italo Ormanni. Invece mi vogliono mortificare e hanno fatto venire una donna che arriva dalla pretura di Lamezia terme. E questo sarebbe il processone alla nuova camorra!». Mercoledì 12 novembre 1980, fu oltraggioso Raffaele Cutolo, fondatore e capo della nuova camorra organizzata, nelle sue parole contro la pm Teresa Casoria che in udienza aveva chiesto le condanne per i 24 imputati del primo processo contro l’organizzazione cutoliana. Per Cutolo, furono proposti 13 anni e 10 mesi di reclusione, in una richiesta complessiva di 131 anni per i 24 imputati.
“Una donna più forte del boss della camorra!” titolò in prima pagina “Il Mattino” dando merito e onore alla giovane pm. Qualche anno dopo, proprio Teresa Casoria, da presidente della nona sezione penale del Tribunale avrebbe condotto il processo sulla famosa inchiesta di Calciopoli, conclusa dai pm Giuseppe Narducci e Filippo Beatrice. Di polso fermo, disincantata, ebbe qualche contrasto con gli altri magistrati del collegio giudicante. Un contrasto che arrivò fino al Csm, segno di un carattere rimasto fermo e deciso.
Nel nome del marito
Non è morta da molto, Lucia Torre. Era la vedova di Marcello, l’avvocato penalista e sindaco di Pagani, ucciso dai killer della camorra cutoliana nel dicembre del 1980. Un avvertimento preventivo a tutti gli amministratori pubblici, che avrebbero dovuto gestire gli appalti del dopo-terremoto. Lucia vide “il suo Marcello” morire sotto i suoi occhi. Era alla finestra per salutarlo, quando guardò i killer avvicinarsi per sparargli. Fu inutile la successiva corsa in ospedale. Da allora portò avanti il ricordo del marito, creò una Fondazione a suo nome per non perderne mai la memoria, un premio per la legalità. Fu ovunque, a parlare dei pericoli della camorra, di rispetto delle leggi: nelle scuole con i ragazzi, nei convegni, in tv. Sfidò maldicenze e ostilità, crebbe la figlia Annamaria che dopo la sua morte ne ha raccolto l’eredità, portando avanti la Fondazione.
Dramma nel dramma, la morte di Marcello Torre ebbe effetti psicologici sul figlio che morì vittima della droga. Fu un altro dolore per Lucia, indomita paladina nelle denunce contro la camorra e le sopraffazioni nella sua terra, Pagani e la provincia di Salerno.
Morte innocente
L’11 giugno 1997, nel quartiere bene dell’Arenella confinante con il Vomero, venne uccisa per errore Silvia Ruotolo, 39 anni, madre di due bambini. Era andata a prendere a scuola il figlio Francesco, 5 anni, e con lui stava tornando a casa. Affacciata al balcone in attesa, c’era la figlia Alessandra, 10 anni. Erano i giorni della guerra di camorra, che dalla zona di Chiaia si era allargata al Vomero. Il clan Alfano contro i clan Cimmino-Caiazza.
Quel giorno, i killer erano saliti in auto al Vomero da via Camillo Cucca a Chiaia per trovare “nemici” da uccidere. Transitarono fuori la casa di un affiliato del clan avversario, Salvatore Raimondi, e fecero fuoco all’impazzata quasi alla cieca. Era di mattino e c’era gente alla Salita Arenella, dove i quattro killer spararono. Silvia Ruotolo passava in quel momento con il figlio. Fu raggiunta da un proiettile alla testa. Morì subito. Convulse le fasi successive, con i killer in fuga. Un mese dopo, uno di loro, Rosario Privato, fu arrestato in Calabria. Divenne collaboratore di giustizia e consentì l’arresto e la condanna degli altri killer assassini.
Silvia Ruotolo fu una delle vittime innocenti della camorra a Napoli, la Salita Arenella dove morì è ora intitolata a suo nome. In vista della giornata delle donne, fissata per l’8 marzo, è giusto ricordare queste quattro storie e queste quattro donne.
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