La recente morte, nel carcere milanese di “Opera”, di Cosimo Di Lauro, il capoclan che esasperò la sanguinosa guerra di Scampia nel 2004, non è la prima scomparsa dietro le sbarre di esponenti di rilievo nella storia della camorra. Ce ne sono state altre, certo meno misteriose e meno drammatiche di quello di Cosimo Di Lauro, negli ultimi anni riempito di farmaci e diventato l’ombra di quel violento capo camorra che sembrò al momento dell’arresto nel gennaio 2005.
E non bisogna andare molto lontano da Scampia, per trovare un precedente famoso. Nell’agosto del 1994, a Voghera era detenuto in regime di carcere duro del 41-bis Gennaro Licciardi, capoclan della Masseria Cardone a Secondigliano, che nelle zone a nord di Napoli aveva preso il posto di Aniello La Monica insieme proprio con Paolo Di Lauro il padre di Cosimo.
La morte di Mallardo
E proprio uno degli alleati di Gennaro Licciardi sarebbe morto ancora in carcere 21 anni dopo. Era Feliciano Mallardo di Giugliano, soprannominato ‘o sfregiato, cugino dei capiclan Giuseppe e Francesco. Morì nell’ospedale del carcere de L’Aquila, dove era stato ricoverato per un tumore. Erra stato arrestato nel maggio del 2011, dopo un blitz della Guardia di finanza, accusato di associazione camorristica. Anche lui, come già Licciardi 21 anni prima, era detenuto in regime di carcere duro del 41-bis. Era piantonato ma, nonostante le sue gravi condizioni legate al tumore, non ebbe alcuna autorizzazione a tornare a casa quando la malattia si aggravò e era ormai prossimo alla morte. Aveva pesanti metastasi al fegato e ai polmoni, ma non riuscì a morire nel suo letto. Veniva considerato l’eminenza del clan mafioso-camorristico egemone da anni a Giugliano e dintorni. Tanto che il pentito Giovanni Chianese così parlava di lui: «Dopo i fratelli Giuseppe e Francesco Mallardo, nell’organigramma del clan viene Feliciano loro cugino. Viene tenuto in gran considerazione, perché è persona di vecchio stampo e può essere definito un consigliori dei capi Giuseppe e Francesco Mallardo, in grado di evitare rotture e spaccature, mirando a soluzioni diplomatiche». Una figura importante per gli equilibri interni al clan. Morì nell’ospedale del carcere. Agli avvocati non riuscì quello che era riuscito al capoclan Lorenzo Nuvoletta, l’unico campano a far parte della commissione centrale di Cosa nostra a Palermo, che riuscì a ottenere il permesso di morire a casa sua. Aveva un tumore e, quando ormai era arrivato alle sue ultime ore, i magistrati ne autorizzarono la detenzione a casa.
Il più famoso
Ma naturalmente il capoclan più famoso a morire in carcere è stato Raffaele Cutolo. Era il 17 febbraio 2021, il boss era detenuto a Parma sempre al 41-bis. Era da tempo malato, aveva 79 anni, ma i giudici negarono il permesso agli arresti domiciliari scrivendo che la sua presenza avrebbe potuto «rafforzare i gruppi criminali che si rifanno tuttora alla Nco, rispetto ai quali Cutolo ha mantenuto pienamente il carisma. Nonostante l’età e la lunga detenzione, rappresenta un simbolo per molti gruppi criminali».
Dopo 57 dei suoi 79 anni in carcere, 25 al 41-bis, Cutolo morì nella struttura sanitaria del carcere. Lo stroncarono le complicazioni legate ad una polmonite unita a una setticemia nella bocca, dopo due giorni di choc settico. Nella storia della camorra, è certamente il boss più famoso tra quelli morti in carcere.
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