Di loro, si continua a parlare in processi a Napoli come a Roma. Chi sono i Moccia, famiglia di camorra egemone a nord di Napoli tra la fine degli anni ’70 alla metà degli anni ’90 del secolo scorso? Si sono trasformati in imprenditori puliti nella capitale, o sono degli abili riciclatori di denaro sporco diventati una specie di “brand” criminale ancora di peso a Roma come ad Afragola? Domande che ha riproposto la sentenza del tribunale napoletano ad aprile condannando Luigi Moccia, il maggiore dei tre fratelli, per associazione camorristica. Ma domande che si pone anche l’interessante e accattivante puntata televisiva della serie “Mafia connection” ideata dal giornalista Nello Trocchia e realizzata per il canale la Nove con Carmen Vogani e Marco Carta, in onda sabato otto ottobre alle 21,30 dal titolo emblematico: “I signori della camorra”.
Le interviste
Quando lo incontrai per intervistarlo il 19 dicembre del 2019, poche settimane prima che venisse di nuovo arrestato, Enzo Angelo Moccia, oggi 66enne, aveva scontato 30 anni di carcere e diceva di vivere all’estero facendo l’imprenditore. Con lui, era presente a quell’intervista anche il fratello piccolo Antonio, oggi 58enne, che a meno di 14 anni vendicò la morte del padre Gennaro ucciso nel 1976, ammazzando nel cortile di Castelcapuano, allora sede del tribunale napoletano, chi ne era ritenuto responsabile. Si disse che la mamma Anna Mazza, soprannominata la “vedova nera della camorra” avesse armato il figlio più piccolo non imputabile per eseguire la vendetta. Un episodio chiave nella nascita criminale della famiglia, che da allora si trasformò da imprenditori agricoli a camorristi violenti in contrasto con un’altra famiglia di Afragola: i Giuliano. Il giorno della mia intervista, Antonio intervenne poco, il protagonista del colloquio era il fratello Enzo Angelo che si fece fotografare da uomo libero e disse: «Mi sono accusato di molti omicidi, volevo far accettare la dissociazione alternativa alla collaborazione con la giustizia, Ora vivo all’estero, lavorando nel settore alimentare, anche se il mio passato mi perseguita e il mio cognome bolla me e i miei fratelli che veniamo accusati di voler condizionare alcune attività economiche a Roma, gestendo una realtà criminale in quella città dove invece vogliamo vivere tranquilli, lavorando, dopo aver chiuso con Afragola e la Campania».
Prima che venisse condannato, anche Luigi Moccia si è fatto intervistare all’interno del felice format del docu-film di Nello Trocchia prodotto da Videa. Ripete i concetti espressi dal fratello al “Mattino” nel 2019. E aggiunge: «Si parla ancora di clan Moccia ad Afragola, ma noi non ne facciamo parte. Spendono il nostro nome, diventato quasi un brand criminale nella zona a uso di gruppi a noi estranei”.
La storia
Quella dei Moccia è una storia criminale iniziata per vendetta, dopo la morte del padre ammazzato per una questione di terreni comprati all’asta. Il salto di qualità, come per molte famiglie della provincia di Napoli boarder line con il mondo criminale, avvenne nella guerra contro i cutoliani. Quegli anni violenti e sanguinosi segnarono il destino di molti, in Campania. Fu Enzo Angelo, diventato con Pasquale Galasso e altri uno degli esponenti del direttivo del clan di Carmine Alfieri, a compiere circa 30 omicidi, gestendo estorsioni redditizie nei grandi appalti del dopo-terremoto. Ricordò nell’intervista che mi diede: «Ero legato a Pasquale Galasso, entrambi abbiamo subito l’uccisione di un fratello. Quando divenne collaboratore di giustizia, chiese un confronto con me e lo facemmo nella sede della Dia a Roma. Appena ci vedemmo, ci abbracciamo scoppiando a piangere entrambi. Fu lui a chiedere che mi togliessero le manette per farlo».
Di fatto, il nome di Enzo Angelo figura tra i componenti dei commando che eseguirono le principali spedizione di morte nella guerra tra i vincitori di Cutolo, che contrapponeva gli Alfieri-Galasso-Moccia-Bardellino ai Gionta-Nuvoletta. Anni bui, di infiltrazioni camorristiche nei subappalti attraverso accordi preventivi, che l’allora coordinatore della Dda napoletana, Paolo Mancuso, definì «rapporto sinallagmatico a tre tra imprenditori, politici e camorristi». A tavolino, prima di aprire i cantieri, si accordavano per spartirsi la torta dei grandi appalti. Ai clan andavano soldi di estorsioni, ma anche quote nei subappalti da affidare a ditte da loro indicate di “amici”, per garantire la quiete ai lavori. Poi arrivò la stagione dei pentiti, le collaborazioni di Pasquale Galasso, Carmine Alfieri e altri che dal 1992 consentirono le inchieste coordinate da un pool di magistrati napoletani: Franco Roberti, Paolo Mancuso, Luigi Gay, Gianni Melillo, Antonio Laudati. Ha raccontato proprio Paolo Mancuso, oggi assessore comunale del Pd a Napoli nella giunta Manfredi, sempre nel docu-film “Mafia connection – I signori della camorra”: «Le indagini sui Moccia erano particolarmente difficili, perché erano stati una famiglia a lungo boarder line, di facoltosi imprenditori agricoli della zona, che poi fecero la scelta criminale».
Oggi
La stagione delle bombe è iniziata nell’area nord di Napoli cinque anni fa, con episodi eclatanti nel 2021. Estorsioni, spaccio di droga concentrato nei rioni di edilizia popolare Salicelle ad Afragola e Parco Verde a Caivano. Molti estorsori fanno il nome del clan Moccia o si qualificano come “amici o compagni di Afragola”. In ballo anche speculazioni su terreni adiacenti alla nuova stazione ferroviaria dell’alta velocità ad Afragola. Ma fece scalpore l’iniziativa di Antonio Moccia, che fece affiggere manifesti nella sua cittadina di origine invitando a denunciare chi chiede il pizzo, anche a nome della sua famiglia.
Ma è a Roma, dove i fratelli e i loro figli si sono trasferiti, che si sono concentrate le nuove indagini sui Moccia, che hanno portato anche al sequestro nel 2020 di 14 ristoranti e un patrimonio totale stimato in tre milioni di euro. Alcune intercettazioni vengono riportate nel docu-film in onda su La Nove. Le inchiesta ipotizzano prestiti di grossi capitali ad alcuni imprenditori del food romano, società vietate con chi gestisce 4 dei ristoranti sequestrati dalla Dia, affari nel settore petrolifero. Più indagini in corso, che hanno in comune l’idea che la famiglia Moccia a Roma, grazie al suo nome, riesca a condizionare attività economiche infiltrandosi con grossi capitali a disposizione. Ne fu esempio un’inchiesta, finita bene per i Moccia, sulle forniture di mozzarella e frutta ad alcuni ristoranti della capitale. La sentenza napoletana di aprile, che ha condannato Luigi Moccia a 20 anni e il cognato Filippo Iazzetta a quattro per associazione camorristica, attende il processo d’appello. La famiglia, anche se molti suoi esponenti sono più a Roma che ad Afragola, resta un nome da saga nella storia della camorra. Dopo la morte della mamma Anna Mazza, sotto i riflettori ci sono i fratelli Luigi, Enzo Angelo e Antonio. Un altro fu ucciso diversi anni fa. Mi disse Enzo Angelo Moccia: «Vivo del mio lavoro e dei beni ereditati. Beni puliti di una famiglia che ad Afragola era benestante. Con i miei fratelli, abbiamo in totale dodici figli e cinque nipoti. Conducono una vita onesta». Ma l’attenzione investigativa sui Moccia non si è mai spenta. A Napoli come, ora, a Roma.
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