CrimiNapoli / 12: Giuseppe Navarra, il re di Poggioreale che riportò a Napoli il tesoro di San Gennaro

CrimiNapoli / 12: Giuseppe Navarra, il re di Poggioreale che riportò a Napoli il tesoro di San Gennaro
di Gigi Di Fiore
Venerdì 7 Gennaio 2022, 12:33 - Ultimo agg. 8 Gennaio, 00:06
7 Minuti di Lettura

Era un onore per lui, che aveva problemi con la giustizia e si arrangiava con attività poco pulite, essere contattato da una persona così importante come il principe Stefano Colonna di Paliano. Anche lui, Giuseppe Navarra, a suo modo aveva acquisito un titolo nobiliare seppure solo per soprannome: era il “re di Poggioreale”, il suo quartiere. Naturalmente, non per investitura monarchica, ma perché nessuno gli disobbediva, tutti gli riconoscevano autorità e forza per la sua indole decisa, qualche violenza imposta e tanta abilità a mettere insieme nel dopoguerra tanti disperati.

La richiesta 

Eppure, proprio a Navarra, che non aveva la fedina penale immacolata, il principe pensò per salvare il tesoro di San Gennaro, primo patrono di Napoli. Della Deputazione della Regia Cappella che custodiva i beni inestimabili donati al santo nel corso di più secoli, Stefano Colonna di Paliano era il vice presidente. Il tesoro era stato portato via dal Duomo, per salvarlo dai bombardamenti e dai pericoli della guerra. Il 26 maggio 1943, gioielli, collane, diamanti erano stati chiusi in tre casse di abete sigillate e portati al sicuro nel monastero di Montecassino affidate alla responsabilità dell’abate Gregorio Diamare.

Naturalmente l’antico monastero benedettino sarebbe stato solo un deposito temporaneo, il tesoro apparteneva al santo e alla città di Napoli e, passato il pericolo, sarebbe dovuto tornare nel Duomo napoletano. Nelle casse c’erano i calici preziosi donati dal duca di Sangro come dall’ultime re Borbone, con quelli regalati da papa Pio IX. E anche la famosa mitria, il copricapo vescovile, realizzata dagli orafi napoletani nel ’700. Un oggetto costato alla città ben 20mila ducati messi insieme con una colletta. La mitria era un capolavoro con 3700 tra diamanti, smeraldi e zaffiri. Erano solo alcuni esempi dei numerosi oggetti, dal valore inestimabile. 

Tutta quella fortuna, che aveva anche incalcolabile importanza storica e religiosa legata alla storia di Napoli strettamente unita al suo principale santo patrono, era diventata a rischio. Montecassino era sembrato il luogo più sicuro e in quello stesso monastero erano state nascoste anche 60 casse con le opere d’arte del Museo nazionale napoletano. Eppure, anche Montecassino divenne pericoloso dopo lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia e le casse del tesoro proprietà di San Gennaro e della città di Napoli vennero trasferite in Vaticano, con la complicità di due ufficiali tedeschi e l’interesse diretto dell’abate Diamarte. Il 19 ottobre del 1943, le tre casse furono depositate a Roma studiando una serie di accorgimenti. Il tesoro venne sistemato nella biblioteca Vaticana, dove rimase tre anni. Poi, l’ulteriore spostamento nell’abbazia di San Paolo fuori le Mura. 

Finita la guerra, tutto doveva essere riportato a Napoli. La Deputazione ne era responsabile e il principe Stefano Colonna di Paliano se ne fece carico con il sostegno del cardinale di Napoli, Alessio Ascalesi. Anche il Vaticano desiderava che il tesoro tornasse nella sua sede storica: il Duomo di Napoli. Ma, in quel 1947, il trasferimento non era sicuro. Sarebbe costato almeno 300mila lire dell’epoca, anche perché le strade tra Napoli e Roma erano assai pericolose per una serie di bande di malviventi che depredavano i viaggiatori. Tempi incerti e carabinieri e polizia avevano troppo da fare per potere occuparsi del tesoro di San Gennaro. Ecco allora l’intuizione del principe: parlare con qualcuno senza scrupoli, rispettato, deciso, in grado di accollarsi l’impresa rischiosa. Consigliato da più persone, il principe andò a parlare con il “re di Poggioreale”.

Il re di Poggioreale

Giuseppe Navarra non era uno stinco di santo e a Napoli lo sapevano tutti. Compresi i carabinieri. Aveva fatto soldi, rivendendo stracci e roba vecchia subito dopo l’arrivo in città dei liberatori anglo-americani. Faceva, come si dice a Napoli, il “saponaro”. Ma poi aveva fatto il salto di qualità, adattandosi ai tempi che offrivano le opportunità che solo una guerra appena finita rendeva possibili. Si mise a comprare, o a strappare senza cacciare una lira, ferri e infissi degli edifici distrutti dai bombardamenti. Li prendeva per poco o niente, a volte con argomenti assai convincenti, e li riciclava facendo affari. Di fatto, era un contrabbandiere delle macerie di guerra. Sapeva farlo, con i suoi metodi che non disdegnavano la violenza per convincere a miti consigli chi aveva avuto la sua stessa idea. Con un fisico adatto e un gruppetto di giovani svegli e decisi, si era conquistato il rispetto timoroso di tutto il quartiere Poggioreale e non solo. 

Il principe aveva fatto finta di non sapere, oppure erano proprio queste le caratteristiche che cercava nell’uomo che avrebbe dovuto aiutarlo a riportare il tesoro di San Gennaro a Napoli. Quell’uomo che parlava quasi solo in dialetto gli rispose che era onorato, che potevano stare tranquilli che “faccia gialluta”, come la gente del popolo chiamava il suo santo Gennaro, avrebbe riavuto tutti i suoi preziosi nella sua casa naturale della cappella nel Duomo. 

Si organizzarono con una semplice auto, che dava meno all’occhio di un camion blindato, di scorte armate e altro. Il principe e il “re di Poggioreale”. Da soli. Il 5 marzo 1947 caricarono in auto le tre casse prelevate nell’abbazia di San Paolo fuori le Mura. Poi via, in direzione Napoli. Fecero lunghi giri per confondere le idee ai malintenzionati. Ci fu chi disse che si imbatterono in un gruppo di rapinatori, con cui parlò in dialetto Navarra ingraziandosi il capo. Lo convinse che non trasportavano nulla di prezioso, o gli disse altro sfidando la devozione al santo del suo interlocutore, chissà. Alla fine, si sfilò la cravatta di seta che portava al collo e gliela regalò. Il viaggio per Napoli proseguì e durò due-tre giorni. Il principe sudò freddo accanto a quell’uomo così distante dai suoi modi e dalla sua cultura. Ma ce la fecero: Navarra consegnò al cardinale Ascalesi e alla Deputazione il tesoro rimasto quasi quattro anni lontano da Napoli. 

Quando il principe gli chiese cosa volesse per ricompensa, il “re di Poggioreale” rispose “nulla”. Anzi, invitò il cardinale a distribuire a chi ne aveva bisogno il denaro che avrebbero voluto consegnargli. Un guappo destinato poi ad appoggiare le elezioni del sindaco Achille Lauro e che, per vanagloria, fece dipingere dietro la sua lussuosa auto nera la scritta bianca “G.ppe Navarra detto il re di Poggioreale”. La sua storia divenne famosa: di Navarra parlò lo scrittore Giuseppe Marotta nel libro “San Gennaro non dice mai di no”; la sua vicenda divenne un film diretto da Duilio Coletta intitolato proprio “Il re di Poggioreale”, sceneggiato dal noto scrittore italo-americano John Fante.

Finì in carcere per decine di truffe, ma anche dietro le sbarre, quando quasi tutti lo avevano dimenticato, Navarra continuò a raccontare di aver salvato il tesoro di San Gennaro, “o santo nuosto”. 

Le altre puntate di Criminapoli 

Carmine Alfieri e il falso rapimento del figlio 

La strage del Rapido 904 

Lorenzo Nuvoletta e la masseria delle decisioni di sangue 

Ferdinando Russo e la poesia per il capoclan 

Barracano e i guappi-camorristi che ispirarono Eduardo 

La morte senza pietà dell'agente D'Addario 

Cutolo e il massacro in carcere a Poggioreale 

Carmine Giuliano e la conchiglia di Maradona 

Anceschi, il maggiore di Mussolini 

Joe Petrosino, il poliziotto buono 

Abbatemaggio, i segreti del primo pentito 

© RIPRODUZIONE RISERVATA