CrimiNapoli / 28: come la Spagna divenne rifugio dei clan di camorra

CrimiNapoli / 28: come la Spagna divenne rifugio dei clan di camorra
di Gigi Di Fiore
Sabato 30 Aprile 2022, 18:11 - Ultimo agg. 13 Maggio, 10:18
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Da qualche anno è il regno di Bengodi, per camorristi latitanti e diversi clan in cerca di investimenti redditizi. Il recente arresto di Vincenzo Cinquegrana, narcotrafficante dell’area a nord di Napoli, a pochi chilometri da Barcellona è solo l’ultimo di una lunga serie. E conferma come il territorio spagnolo, e in particolare la Catalogna, siano zone dove i camorristi latitanti si sentono al sicuro.

Era domenica dieci agosto 2008, quando gli agenti della questura di Napoli con l’allora capo della squadra mobile Vittorio Pisani individuarono e arrestarono, con l’apporto fondamentale dei carabinieri del comando provinciale napoletano, non senza difficoltà per una serie di intralci procedurali delle norme spagnole, Patrizio Bosti (in foto). Si trovava nella provincia di Girona, in quel momento veniva considerato uno dei trenta latitanti più pericolosi d’Italia. Lo trovarono nel noto ristorante «Xacò» di Platja de Aro specializzato nella cucina di crostacei. Era con altre quindici persone. Bosti era il numero due del clan di Eduardo Contini, uno dei gruppi storici della camorra napoletana, parte integrante della famosa alleanza di Secondigliano. Era tornato libero per decorrenza dei termini, ma doveva scontare una condanna per un duplice omicidio. Quando venne preso al ristorante, aveva in tasca 24mila euro in contanti. Tutti in banconote da 500 euro. Quell’arresto confermò che il clan Contini aveva solidi contatti nel territorio della Costa Brava.

Prima Bosti, poi anche Paolo Di Mauro altro affiliato al clan si erano trasferiti a lungo in quella parte della Spagna dove si era spostato anche Luigi Mocerino, trafficante di cocaina. Per chi commerciava in droga, le coste spagnole erano un naturale ponte di collegamento con il Marocco. Un’area di transito fondamentale per il traffico internazionale soprattutto di cocaina. Lo aveva capito anche Raffaele Amato, uno dei noti capi degli scissionisti di Scampia, gruppo soprannominato non a caso degli spagnoli, che si era allontanato dal clan di Paolo Di Lauro. Amato si era spostato in Spagna, per trattare direttamente e senza mediazioni con i narcos l’acquisto della droga all’ingrosso. Fu nel febbraio 2005 che lo arrestò la polizia spagnola, all’uscita del casinò di Barcellona. Era in compagnia con un paio di guardaspalle. E, poco dopo l’arresto del suo «nemico» Paolo Di Lauro, molti colonnelli di Amato andarono a ricevere istruzioni in Spagna, incontrandolo nei colloqui chiesti nel carcere di Madrid. Fasi e storie della ormai famosa guerra di Scampia. Non solo droga per Amato in Spagna, ma anche investimenti con il denaro guadagnato nel traffico di droga da far fruttare in acquisti immobiliari. Lo aiutò un consulente finanziario di fiducia.

Fu Antonio Bardellino, il primo potente capo del clan mafioso-camorristico dei Casalesi, a capire le possibilità di affari offerte dalla Spagna.

Visse lunghi periodi tra la penisola iberica e il Sudamerica, investendo denaro da riciclare. Erano gli anni’80 del secolo scorso. Era soprattutto la posizione geografica della Catalogna a rendere quel territorio luogo ideale di passaggio della droga in arrivo dall’Africa. Ma la Spagna offriva anche possibilità di investimenti immobiliari, in gran parte nel settore turistico, facendo diventare quel Paese il Bengodi per molti clan della camorra. Nel 2009, ne elaborò una mappa il comando provinciale dei carabinieri di Napoli, allora guidato dal colonnello Gaetano Maruccia, elencando le presenze dei gruppi camorristici nella penisola iberica. Dalle storie di affiliati individuati o arrestati, si riuscì a ricostruire le presenze in Spagna di un nutrito elenco di clan: Licciardi, Contini, Amato-Pagano, Di Lauro, Ascione, Polverino, Mazzarella, Nuvoletta, oltre ai Casalesi della provincia di Caserta.

Un fenomeno sottovalutato dalla politica e dalle autorità spagnole negli anni passati. Ha scritto il giornalista catalano Joan Queralt, che a queste vicende ha dedicato il suo documentato libro «La Gomorra di Barcellona»: «In Catalogna le attività delle mafie italiane, e in primo luogo della camorra, sono soprattutto legate al traffico internazionale di droghe, al money laundering o riciclaggio di capitali, allo sfruttamento di mercati illegali, come la distribuzione e vendita di prodotti falsificati, soprattutto jeans, maglieria e capi in pelle, business che questa organizzazione criminale gestisce sostanzialmente in regime di monopolio». La Costa Brava, la Galizia, Tenerife sono stati luoghi di dorate latitanze e investimenti di molti clan della camorra. E in Spagna alcuni capiclan sono riusciti a entrare in contatto e conoscere importanti narcos sudamericani come Jorge Luis Ochoa, o Juan Ramòn Matta-Ballesteros. Un luogo di incontri e contatti, per anni fondamentale.

E in Spagna sono stati arrestati un grosso numero di affiliati ai clan della camorra, tra cui: Giuseppe Quadrano, accusato del delitto di don Peppe Diana, nel marzo 1995; Giuseppe Lo Russo di Miano-Secondigliano, preso il 22 luglio 1998 a Malaga; Ciro Mazzarella, catturato a Torremolinos il 20 giugno 2002: Pasquale Mazzarella, preso sulla Costa del Sol il 15 novembre 2000 una prima volta e poi a Marbella nel 2007 una seconda volta; Maurizio Prestieri di Secondigliano, preso a Marbella il 29 giugno 2003. Nella sua ricerca, Queralt ha contato, con nome e cognome, ben 44 arrestati. C’è gran parte della geografia camorristica campana, con prevalenza dei clan Amato, Licciardi, Mazzarella, Polverino, dei Casalesi. Tutti guardavano la Spagna. E, a vedere l’arresto recente di Vincenzo Cinquegrana, forse vi guardano ancora.

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