Per anni abbiamo detto male di chi diceva male di Napoli. A tutela sua, del cibo, delle usanze, delle bellezze, del carattere, della cultura, del grande cuore, ci siamo esposti quasi si trattasse di un parente, ci siamo detti primi turisti della nostra stessa città. Addirittura, l'apertura di uno sportello comunale per difendere Napoli da pregiudizi e narrazioni tossiche (a proposito, che fine ha fatto? Sul sito del Comune la pagina è scomparsa). Non ci piaceva come gli altri ci raccontavano, ci infastidiva anche la voce stonata nel nostro stesso coro di abitanti. Avremmo voluto dire: «Fatevi un paio di giorni qui e scoprirete che Napoli ha sì tanti problemi, ma è assai più bella e pulita e vivibile ed economica e in ripresa di come vi hanno detto dei malinformati maldisposti».
La novità è che ci hanno dato ascolto in migliaia. Il guaio è che non ci sta bene nemmeno così. La chiamano gentrificazione e turistificazione, fanno il conto delle friggitorie, dicono che la città si è gazebizzata, rimpicciolita e stretta come una maglia di strade, sempre quelle, che sta bene solo a chi la indosserà per un paio di giorni e via. Ma la verità che nel 2023 non può più trovarci impreparati, davanti alla quale mostrarsi sbalorditi equivarrà a dirsi pubblicamente stupidi, è che il problema non è il turista; il problema è che, a parità e scarsità di servizi, o c'è il turista o ci siamo noi. Ora che si sono chiariti i ruoli, chi e cosa sceglierà?
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