Primavera a Napoli: non solo una stagione, ma una questione. Quella che, regolarmente, vorresti prenderti con chi, davanti a temperature appena più gradevoli, sole e cielo azzurro, si sente sempre più padrone non solo di sé, ma del palazzo, della strada, forse dell'intera città. Questi esemplari esistono e funestano tutti i mesi dell'anno, ma da metà marzo escono come formiche, si fanno più insistenti e riconoscibili.
Ho creduto che questo carattere si mostrasse con maggiore evidenza nelle aree popolari, l'avevo sperimentato con una vicina di casa che, nelle prime giornate tiepide e soleggiate, una lavatrice dopo l'altra, occupava in blocco tutte le corde per i panni tese in un cortile della Sanità, impedendo a chiunque di stendere anche solo uno straccio e minacciando conseguenze.
Ma il misto di sfrontatezza e prepotenza un po' ridicola, lo ritrovo intatto nel signore in giacca e cravatta che, parcheggiata la bella automobile in doppia fila e sulle strisce pedonali, in uno dei cosiddetti salotti bene della città (sempre che esistano ancora) non sente rimostranze, non vede il disagio causato: lui deve acquistare il suo vassoio di zeppole di San Giuseppe, prendere un caffè, sfogliare il giornale. Nell'eterno dibattito su Napoli doppia, alta e bassa, borghese e plebea, spunta la pianticella rampicante di tratto comune. Fiorisce proprio adesso, in qualsiasi quartiere e contesto sociale: la suverchiarìa di piccole, primaverili prevaricazioni quotidiane.
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