La frenesia del napoletano arrabbiato

La frenesia del napoletano arrabbiato
di Raffaella R. Ferré
Sabato 24 Settembre 2022, 10:00
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Nzallanuto!, urla l'uomo al volante al ragazzo che guida il camioncino. S'è affacciato al finestrino per dirgli che, dallo sportello posteriore tenuto chiuso con una corda, perde fogli e li sta spargendo sulla strada rallentando il traffico. Il ragazzo gli risponde malamente di farsi i fatti suoi e avanzare. Ma poiché la circolazione è ferma all'altezza del Museo, l'uomo scende dall'auto, il giovane fa altrettanto: non vengono alle mani, le allungano urlando cose turpi su parenti e reciproche origini. La gente intorno non interviene: spinge più avanti il muso della vettura. Un motorino passa nel mezzo, io stessa mi faccio largo per attraversare.

Il cognitivista Steven Pinker ne è certo: la facoltà umana di comunicare è innata, ma il linguaggio è modellato dalle esigenze e dall'ambiente.

Ogni lingua racconta come pensa e vive il popolo che la parla e tale caratteristica si mostra a pieno proprio nell'ambito offese e insulti. Nelle lingue bikol parlate nelle Filippine chi è arrabbiato usa un vocabolario speciale; in giapponese, la gerarchia sociale ha un ruolo: è possibile offendere dando inappropriatamente del tu.

In napoletano, la scelta di termini è ampia eviterò, per ragioni ovvie, di riportarli ma la radice dell'arrabbiatura sempre quella: nella città che risulta vivace agli occhi del visitatore, il cittadino non tollera la lentezza. In qualsiasi ambito, lui deve muoversi. Per andare dove, chissà. 

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